#la voce è l'altra pelle
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"(...) In principio era il Verbo, e il Verbo era la voce.
Voce, vita.
I fonologi sostengono che la voce imita il ritmo vitale, perché segue il principio della respirazione.
Ogni frase che pronunciamo nasce, cresce, si stabilizza, decresce, muore. Respira con noi.
La voce crea, la voce salva. La voce ha un potere magico. Ce lo dice il mito greco più antico, quello orfico. Orfeo canta, e grazie al potere della sua voce ammansisce i mostri degli Inferi e può scendere nell'Ade a risvegliare Euridice dal sonno eterno. La voce evoca. Ex-vocare: trarre fuori. La voce può evocare i morti, trarli fuori dalle tenebre. Ma la voce è talmente misteriosa che può anche prescindere dalle onde sonore che i fonografi registrano e i fonologi studiano, perché la sua cassa di risonanza è il nostro cuore, o la nostra testa. Essa ci suona dentro, come ha detto Kavakis, e solo noi possiamo sentirla".
.🦋.
Antonio Tabucchi, in "Autobiografie altrui"
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Smettere di dormire per sognare meglio
Sono al nord e mi sto beccando la prima pioggia ufficiale dell'autunno, non perché l'autunno sia già iniziato, certo che no, è che tra una notte insonne e l'altra, è apparso settembre che come ben sappiamo è il mese che citofona e tu vai a rispondere e chiedi "Chi è?" e lui fa la voce strana "Signora, sono l'ultimo spiraglio di estate, mi fa entrare?" e tu gli credi e apri ma quando te lo ritrovi sull'uscio di casa ha fatto ingiallire tutte le foglie, ti sei dovuto mettere un pulloverino e piove, piove tantissimo, piove solo come in autunno piove. Se hai il videocitofono questo problema non si presenta perché gli puoi dire "Eh no caro ragazzo mio, io lo vedo che sei settembre, io mica ti faccio entrare, io voglio godermi ancora un po' di estate" però settembre sa essere davvero convincente "Signora, lo so che mi vede, guardi io volevo solo rinfrescare, mica avevo altre intezioni..." e allora cedi "Va bene ma limitati con la pioggia ché un paio di gitarelle io vorrei ancora farmele!" "Certo signora, non si preoccupi, faccio il bravo!".
Piove e sto in casa. Maledetto settembre. Non so neanche dove stanno gli abiti autunnali. Quest'anno mi sono sbarazzato di un sacco di cose inutili date le alte temperature: i vestiti in lana, i vestiti lunghi, i vestiti in generale e le ore di sonno. Non sto più dormendo e quando dormo sono seminudo. Non un grande spettacolo per la mia famiglia che oramai conosce a memoria i nei sulle mie chiappe e mia madre mi ha anche già prenotato una visita dal dermatologo. Ho eliminato i vestiti perché io in estate voglio mi si vedano non solo i tatuaggi (visto quanto li ho pagati) ma pure le cosce lunghe e quelle zone dove un giorno, quando finalmente attuerò ciò che dico e mi metterò a fare sport, compariranno i muscoli. C'è grande fermento per l'arrivo dei muscoli. Tutti ne parlano (solo alcune tra le mie personalità). Ce la farà? Arriveranno sul serio? Dopo tante promesse, si metterà a fare sport? I bagarini dicono che è più probabile lo stretto sul ponte di Messina rispetto ai miei muscoli post quarantanni di nullafacenza. Dannati bagarini. Hanno ragione.
Ho passato parecchi giorni sul terrazzo del nonno questa estate. Sono scappato da un'altezzosa Vienna e mi sono rifugiato nel caldo abbraccio familiare. Non avevo mai dormito in terrazzo. Da un lato si vede il golfo di Napoli mentre dall'altra parte c'è il mio più acerrimo nemico: il Vesuvio. Colui che se ci penso mi viene male. Ogni tanto gli do le spalle, poi mi giro all'improvviso per coglierlo sul fatto: "Ah! Ti vedo che vuoi eruttare!" urlo indicandolo ma lui niente, dormicchia. Io non voglio che erutti un po' perché non mi piace come la lava rende la mia pelle, ho una pelle delicata io, preferisco una sostanza meno abravasiva e deturpante che non incenerisce. Non mi piace perché poi i miei parenti me li ritrovo a Vienna a chiedere ospitalità e stanno sotto casa e mi citofonano e io non posso fare come faccio con settembre, che cedo alle sue lusinghe, io posto in casa per un centinaio di napoletani non ce l'ho. Io ho le mie piante. Non mi piace perché poi si realizzerebbe quella canzone che mi cantavano fin da bambino, quella che non capivo, quella dove mi domandavo ma perché mai vogliono che un disastro naturale uccida i miei nonnini e ditrugga la loro casuccia? Ora mia nonna non c'è più e il nonno si sta avviando verso la fine, però è uguale io non voglio dare ragione a quelli che hanno reso la mia infanzia una merda.
Mio nonno una volta aveva un migliaio di storie da raccontare. Poi le storie sono diventate cento, poi una dozzina, poi sempre meno. Ora sono le stesse tre storie che alterna spesso unendole alla trama di qualche film che ha visto di recente. Credo che quando si sarà dimenticato pure di queste tre semplicemente sparirà nel nulla, come una tecnologia dimenticata. Come quell'iPod che avete da qualche parte in una scatola in garage senza più batteria ma con una playlist che avete volutamente dimenticato.
Sul terrazzo del nonno si sente di tutto, principalmente si sente la vita. C'è un sacco di gente che vive al sud. Paragonato a casa mia a Vienna dove durante gli anni del Covid ho pensato di essere l'unico umano vivo sul pianeta (ero molto molto solo, non avevo ancora Ernesto e il mio appartamento affaccia su un cortile interno che mi isola da ogni rumore esterno, sento solo il respiro affannato dei vicini quando salgono le scale). A Napoli andavo a dormire verso le 22, alle 23 venivo svegliato dai primi festeggiamenti. Un matrimonio, un battesimo, un gol di qualche squadra di calcio, un gratta e vinci da 5 euro, tutto vale la pena di essere festeggiato. Alle 24 i botti, soprattutto se il gratta e vinci era da 10 euro. Dalle 1 alle 2 un po' riuscivo a chiudere occhio, tra un brano e l'altro della discoteca sul litorale che dubito abbia davvero i permessi per pompare musica a quel volume. Alle 3 silenzio totale, dormivo. Verso le 4 un bambino piangeva, ininterrottamente, forse perché il dj della festa in spiaggia non gli ha messo la sua canzone preferita. Alle 5 attaccava a cantare il primo gallo, poi un altro gallo e infine pure un terzo più distante che desiderava manifestare la sua gallosità chicchiricchiando un motivetto stridente. Cosa urlano i galli? Qualcuno ha mai capito cosa si dicono? Deve essere importante se si sentono in dovere di urlarlo ogni alba. Alle 6 era il turno delle risse tra felini. Io speravo che i miei amici gatti si prendessero la responsabilità di corcare di legnate i galli e invece no, bisticciavano tra di loro. Alle 7 si svegliava mio nipote e quando si sveglia lui nessuno è più autorizzato a dormire. Era compito mio giocarci, dato che tanto ero già sveglio dal giorno precedente. Poco prima mi godevo il cinguettare di alcuni volatili della zona, probabilmente estinti in altre parti del mondo, poco dopo cercavo di spiegargli la differenza tra charmander e squirtle e perché non ha senso un attacco fuoco contro acqua. Mio nipote mi guardava e con la sua vocina tenera mi diceva "Tu zio sei proprio uno scacciafiga" e ha ragione.
Non ho accennato ai pensieri che mi assillano. Quando non scrivo è perché ho troppa roba in testa e ho paura a farla scendere dalle nuvole. Non dormo perché sto cercando di capire cosa fare con la mia vita. Ci provo da quaranta e passa anni ok ma ultimamente sento l'avvicinarsi della fine e questi pensieri sono aumentati. No, non la fine dell'estate, la fine di tutto. Non mi ci vedo a invecchiare. Ho come la sensazione che sarà qualcosa di orribile e inaspettato. Spero solo che sia veloce e indolore anche se ho il sospetto che sarà come le notti insonni di questa estate, praticamente interminabile. Quando conti ogni minuto che passa e in quei sessanta secondi ogni paranoia possibile viene a trovarti il canto dei tre galli partenopei sembra una via d'uscita rassicurante. Non so dove sbattere la testa, vorrei solo vivere sul terrazzo di casa dei nonni per sempre e rimanere cristallizzato nelle mie indecisioni senza che esse feriscano nessuno, senza che nessuno abbia pretese o aspettative. Voglio restare esposto alle intemperie e lasciare che scavino la pelle e facciano solchi tra i tatuaggi e i miei muscoli (in questo scenario io sono davvero forzuto) oppongano resistenza ma poi si lascino andare sciogliendosi come blocchi di cera. Lascio che il muschio cresca sulla mia schiena. Dai piedi si espanda la ruggine. In testa, gli uccelli tropicali della zona ne approfittano per nidificare. Nelle cavità oculari ha scavato la sua tana un topolino. Sulla pancia dormono i gatti che hanno smesso di lottare. Ecco come vedo il mio futuro. Ho deciso di non fare niente e ho lasciato che tutto accada a mio discapito. Essere stati felici è un fardello insopportabile.
Fuori piove, non ha ancora smesso. Le temperature sono in rapido calo. Dell'autunno e poi dell'inverno non mi preoccupa molto né il freddo né tantomeno la diminuizione delle ore di luce. Mi preoccupano le notti. Ancora più lunghe e prive di vita. Senza galli e gatti. Senza discoteche in spiaggia. Senza festeggiamenti e umani rumorosi. Se vince il silenzio, non mi resterà altro che confrontarmi con i miei pensieri. Ancora e ancora. Finché non darò retta a uno di questi pensieri e lo trasformerò in un sogno e poi mi dannerò per realizzarlo e quando ci sarò riuscito mi incazzerò per esserci cascato di nuovo. Ancora a fare quello che ti dice la testa. Ma quando imparerai e ti deciderai a bombardarti di sonniferi.
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Fan fiction sul personaggio di Alastor di Hazbin Hotel .
La storia inizia all'Inferno: attraverso una serie di flashback che si susseguono come interferenze radio nella mente di Alastor.
L'ho scritta per fare luce sul suo passato e sul perchè abbia perso il senno e sia finito all'inferno.
Radio Frequencies
Il pugno aveva mandato in frantumi lo specchio: mille schegge di vetro erano esplose sul pavimento. La pelle del guanto si era lacerata ed il sangue nerastro colava lungo la mano. Le tenebre della stanza permeavano ogni angolo, accalcate simili ad una folla soffocante. Sciolse la stretta della mano e ticchettò con la punta rossa delle dita guantate i profili in frantumi dello specchio ancora appeso alla parete.
Il dolore era piacere, amava vederlo pervadere le sue vittime poteva sentirlo, ma questa volta scivolava in lui lungo le nocche fino al braccio, la cosa lo contrariava: si chiese come poteva aver perso il controllo .
Si appoggiò alla parete con l'avambraccio, mentre con l'altra mano continuava ad accarezzare morbosamente quello che restava dello specchio: tamburellava lento poi frenetico, in modo incontrollato. Tra le schegge osservò il flash rosso sangue del suo sguardo, in quella tenebra nera come pece vacillava come un neon.
Sentì nuovamente quella fitta alla testa, come una sintonizzazione radio sovrapposta, un'interferenza direttamente sparata nel cervello, strinse i denti in un sorriso folle: non amava perdere il controllo del suo show.
La fitta alla testa divenne insopportabile, si piegò all'indietro fino a sfiorare il pavimento, strinse gli artigli alla testa, si sarebbe cavato il cervello dal cranio AH AH AH
Davanti agli occhi le interferenze sfarfallavano come onde radio multicolore, un carosello di immagini senza senso, stava perdendo la sua mente, dannazione, era come se qualcosa si stesse frammentando dentro la sua testa.
Spostò nuovamente lo sguardo verso il suo riflesso su una delle schegge dello specchio, la luce dei suoi occhi rossi dalla pupilla a valvola erano spariti.
Un'altro sfarfallio, un'altra interferenza e per un attimo un uomo dai capelli castani e gli occhiali gli rimandò lo sguardo dalla superficie riflettente.
"Tutto sotto controllo" si disse, aveva controllo su tutte le sue piccole pedine, sulle sue vittime, le sue adorate prede, era all'Inferno, era il suo territorio di caccia, ma in quel momento si senti disorientato e non era......piacevole.
Riportò alla memoria tutti i volti di chi aveva ucciso: il mortale nel riflesso non era nessuna delle sue vittime, nessuno dei demoni della sua lunga lista di "signori supremi".
Un'altra fitta, più intensa di quelle precedenti stavolta non avrebbe retto, le comunicazioni si interruppero definitivamente su brusio piatto
NO SIGNAL brrzt brzzt...
Quando il segnale radio si fu risintonizzato era in ginocchio sull'erba umida, sulle lenti degli occhiali crepate in più punti gocciolava del sangue rosso ( rosso?), il dolore era insopportabile, ma si cavò a forza in gola le urla e strinse i denti fino a sentirli stridere.
"Allora stronzetto con il pedigree, la mettiamo una bella firmetta?"
Due scagnozzi lo tenevano per le braccia mentre quello più grosso che lo aveva pestato fino a quel momento, gli sventolava davanti un foglio scritto a macchina ed una penna ad inchiostro.
Lo guardò da sotto gli occhiali con un misto di sufficienza e divertimento, il sangue gli annebbiava la vista con una velata nebbia solferina.
"Pretenzioso chiedere una firma da chi non sa neppure graffiare il foglio con una X" la ginocchiata allo stomaco arrivò senza preavviso, il fiato gli si spezzò in gola, ma non aspettò neppure di riprendersi del tutto dal colpo
" Il mio programma non è in vendita, non vi cederò i diritti! E' stato un vero piacere verbalizzare con voi Signori" la voce spezzata dalle percosse era roca ma sicura, non chiara e sensoriale come quando era alla radio.
Quello più grosso sbuffò con disappunto, ripose il foglio e la penna nella valigetta di pelle, si schiarì la voce in modo che potesse sentirlo chiaramente e si avvicinò minaccioso alla faccia del conduttore radiofonico
"Ascoltami bene, tu pensi di essere una star, ma l'unica cosa che sai fare è creare rogne a chi non dovresti"
lo prese per il colletto della camicia ed inizio a stringere
"A breve ci saranno le elezioni e tu sei una spina nel fianco"
strinse ancora, l'aria iniziava a passare a fatica attraverso l'esofago.
" Il tuo programma deve terminare o qualcuno ci lascerà le penne!"
Strinse ancora ed ancora: non riusciva neppure a deglutire, iniziò a tossire tentando di cacciare dentro un pò d'aria.
La trasmissione sfarfallò davanti ai suoi occhi, sentiva nelle orecchie il gracchiare delle frequenze, ci fu un altro black out.
Un brusio indistinto, un lungo fischio ed il suono esplose dolorosamente nelle sue orecchie, un nuovo canale si era sintonizzato: in lontananza c'erano fumo ed urla, la torre della stazione radio era in fiamme, i vigili del fuoco cercavano di spegnere l'incendio, ma pezzo dopo pezzo la struttura stava crollando.
Corse verso tutto ciò che aveva: il suo programma radiofonico, la sua verità per la società... Venne fermato da una stretta inopponibile: Husk lo teneva stretto per il braccio, lo guardava muto con un misto di rassegnazione e comprensione.
"Lasciami andare ubriacone da strapazzo!"
Husk lo guardò torvo:"Non c'è più niente da fare, ti ammazzerai se ti butti lì dentro"
"Tu non capisci, c'è tutto il mio lavoro lì dentro! Tutte le prove! Tutto!"
Ci fu un crepitio poi un lungo suono metallico, la torre venne giù franando tra le fiamme.
Gli occhi dorati del conduttore erano sgranati, completamente inespressivi, si afflosciò a terra, strinse la polvere della strada con le dita esili fino a farsi sanguinare le unghie.
Tutto il suo mondo era sprofondato.
Husk gli posò la giacca sulle spalle per nasconderlo alla vista dei curiosi che sembravano averlo riconosciuto e lo rimise in piedi.
Si allontanarono tenendosi a debita distanza dalla folla.
Teneva con entrambe le mani i lembi della giacca sulle spalle,gli occhiali ancora chiazzati di sangue dopo il pestaggio.
"Non è finita qui, non mi arrenderò! La verità verrà a galla, contano di avermi tappato la bocca, ma non mi fermerò. Ci starà giustizia, New Orlean merita di conoscere la verità su quel pezzo di merda. "
Riorganizzò i pensieri: avrebbe dovuto ricostruire il suo studio da zero, raccogliere nuovamente tutto il materiale delle indagini e realizzare tutto prima delle elezioni.
Stava per girarsi verso Husk, ma di colpo tutto divenne nero, il canale era saltato di nuovo, uno pezzo jazz gracchiava in sottofondo, poi silenzio, qualche brusio.......
Fu colpito da una luce bianca abbagliante ed era di nuovo in onda.
Gli occhi erano doloranti per la luce improvvisa, pian piano passarono dalla sfocatura a rendere nitidi i contorni dell'ambiente, cercò gli occhiali sul comodino, li infilò e si diede uno sguardo intorno: si trovava presumibilmente in un ricovero all'interno di un ospedale, altri lettini erano posti in sequenza per la stanza: lenzuola bianche e coperte verde tenue.
Aveva la testa che gli scoppiava, si guardò le mani: la pelle pallida e tirata delle dita gli suggerì che doveva essere ricoverato da un pò.
Chiuse gli occhi e si rimise a letto cercando di ricordare come si trovasse in quel luogo.
Sentì il personale dell'ospedale muoversi tra i ricoverati, poco distante la sua attenzione fu catturata da due infermiere che parlottavano tra loro bisbigliando:
"Davvero una tragedia"
"Io seguivo sempre il suo programma, riusciva a rapirti con le sue storie di cronaca" disse una delle due.
"Dopo l'incidente della torre radio, aveva ripreso il programma in un nuovo studio, si dice che abbia pestato i piedi a chi non doveva" confessò l'altra
"Certo! A quel farabutto che ha perso le elezioni, grazie al suo programma radiofonico lo hanno arrestato!"
"Ma ne è valsa la pena? La sua carriera è rovinata! Non potrà più condurre il programma alla radio" la voce dell'infermiera era amareggiata
"Cosa hanno detto i medici?"
"E' fortunato se potrà tornare a parlare, gli hanno bruciato la gola con l'acido" sussurrò l'altra tenendo il palmo della mano alzato accanto alla bocca in segno di confidenza.
Fu percorso da un brivido, lo shock lo aveva paralizzato: non parlavano di lui, non potevano, non poteva essere..
Provò a parlare, ma la gola era bloccata, si sforzò di urlare per richiamare l'attenzione dell'infermiera, ma nulla era completamente afono, riuscì ad emettere solo un sibilo rantolante.
Si tirò a sedere e si tastò la gola, appena le dita strinsero leggermente un dolore lancinante lo percorse.
Sentì montare la disperazione: la sua voce! Strinse i pugni, la rabbia stava esplodendo dentro di lui come non l'aveva mai sentita in vita sua, avrebbe voluto spaccare tutto.
Ogni cosa che aveva costruito in quegli anni: la sua carriera, la sua passione, il suo programma, erano tutta la sua vita!
Per la prima volta si sentì sprofondare in un baratro senza ritorno.
Lo sguardo sotto gli occhiali era febbricitante: neppure la crisi del 1929 lo aveva stroncato, ma adesso? Non gli restava più niente.
Il bicchiere sul comodino era così invitante, luccicava ai leggeri raggi del sole. non si accorse neppure di averlo preso, fu un istante ed il bicchiere era andò in frantumi, come la sua vita. Mentre stringeva le schegge nella mano rivide la sua stazione radio in fiamme, ripercorse tutte le difficoltà che aveva dovuto affrontare per mettere in piedi il suo programma, tutte le volte che avevano tentato di tappargli la bocca, il volto orgoglioso di sua madre quando aveva iniziato a lavorare in radio.
Le dita si mossero da sole lasciando scivolare via tutte le schegge di vetro, trattennero solo quella più lunga, il suo sguardo era piantato nel vuoto, le pupille strette in una fessura.
Il frammento di vetro si fece largo affondando nel sottile strato di pelle dell'avambraccio, poi più in profondità fino alla carne, come se non percepisse dolore, tagliuzzava freneticamente, il sangue schizzò ovunque, sulle lenzuola immacolate, sul profilo metallico del letto.
Urla lontane lo raggiunsero, era tutto ovattato nella sua testa, qualcuno prese a scuoterlo per le spalle, una mano stava provando a togliergli il frammento di vetro dalla mano.
Davanti ai suoi occhi un'infermiera terrorizzata gli gridava qualcosa, non riusciva a capirla, accorsero i medici, i volti contratti dalla preoccupazione tenevano in mano delle cinghie di cuoio ed una siringa.
L'infermiera si era allontanata, aveva il volto e le mani sporche di sangue e continuava ad urlare. I medici lo bloccarono, uno di loro si avvicinò al suo collo tenendo la siringa: non sentì nulla, non sentiva più niente già da un pò..
Lo legarono al letto con le cinghie, le guardò strette al suo corpo e lungo le braccia, lo sguardo si posò sugli avambracci:erano un miscuglio indistinto di sangue e carne.
Si chiese di chi fossero quelle braccia...
Poi il ronzio disturbato di una comunicazione radio si frappose tra i suoi pensieri, le frequenze saltarono nuovamente in un brusio frastornante, le tenebre erano un sudario, in quel vuoto sinistro si fecero largo due occhi rossi come l'inferno, erano due fanali inquietanti che lo scrutavano e sorridevano
Li vide per un breve istante, poi sparirono, qualche distorsione radio e la trasmissione riprese, era nuovamente ON AIR.
Si lasciò cadere con slancio sulla sedia facendola girare su se stessa per spostarsi alla console, fece scivolare le agili dita sulla valvola del volume e con l'indice slittò la levetta della diretta verso l'alto, strinse tra le mani il microfono a condensatore: un gentile omaggio della Bell Labs in anteprima, non molti studi potevano vantarne uno, ma nulla gli era precluso, non più...
Accarezzò il microfono con eleganza e lasciò scivolare la voce al suo interno
" Salve carissimi per il vostro intrattenimento è un piacere ritrovarvi qui all'Hazbin Show" il timbro era caldo ed inebriante, si perse nel suo suono, le belle parole fluivano. Aveva un indice di ascolti come non se n'era mai visto a New Orleans, il format era assoluto e non lasciava spazio ad altri concorrenti, ma non era solo questo, da quando dopo un brutto incidente aveva perso la voce per alcuni anni il famoso conduttore era sparito dalla piazza, ma tre anni dopo era misteriosamente riapparso dal nulla, con la sua voce inconfondibile che appassionava alla cronaca gentiluomini e faceva sospirare le signore. Ma c'era qualcosa di più chi lo ascoltava restava ipnotizzato dal suo timbro, quella tonalità resa leggermente bassa aveva assunto una sfumatura sinistra ed irriverente, consciamente nessuno ci aveva fatto caso e gli ascoltatori venivano irretiti come da un incantesimo, sedotti e legati al suo programma radiofonico. In città il tasso di omicidi era spaventosamente aumentato e la trasmissione era schizzata alle stelle.
Si alzò dalla sedia tenendo tra le mani il microfono da postazione, arrotolò il cavo di alimentazione attorno all'indice
"Oggi voglio solleticare la vostra attenzione con un nuovo caso"
danzò nello studio con rapidi passi di swing facendosi largo tra i cadaveri sul pavimento.
"C'è un nuovo assassino in città"
con un passetto di danza qua ed uno là fece attenzione a non macchiare le derby col sangue, saltellò oltre le braccia senza vita di una vittima.
"Sembra proprio che le autorità non sappiano che pesci prendere! Ahi Ahi molto male, abbiamo un cannibale e pluriomicida a piede libero, la polizia dovrebbe impegnarsi seriamente" canzonò sorridendo da un orecchio all'altro inclinandosi sul microfono.
Normalmente un programma radiofonico del genere sarebbe stato chiuso: deliberatamente provocatorio verso il potere costituito e alle prese con tematiche scomode di cronaca nera trattate con tanta disinvoltura, eppure il pubblico nel momento stesso in cui accendeva la radio era come rapito, l'oscuro umorismo del conduttore era diventato il suo marchio di fabbrica e per qualche oscura ragione il pubblico lo adorava.
La sintonizzazione iniziò a vacillare, il suo campo visivo fu interrotto nuovamente da onde radio orizzontali ad intermittenza, le frequenze sfrigolavano nel suo cervello in modo insopportabile: la trasmissione si stava rimodulando fino a stabilizzarsi sul suo ultimo canale.
Quando si riprese aveva le braccia immerse fino ai gomiti nel sangue: la vasca ne era piena , il tanfo alcalino dei liquidi organici era nauseante.
Alle sue spalle incombeva un'ombra tremolante: era in attesa, un'attesa famelica e malata, i suoi occhi scarlatti come fanali lo fissavano con impazienza, come un predatore fissa la sua preda messa all'angolo:
"Oh Caro, è il momento di concludere il nostro patto" il tono era mellifluo ed inquietante.
Quella presenza era Male puro, il conduttore non sapeva come era arrivato a quel punto, ma iniziava a capire: aveva stretto un accordo con quell'Ombra, l'aveva vista sgusciare dalla sua mente quel giorno in ospedale, tra le crepe della disperazione e della rabbia, lo scrutava con quei suoi occhi sulfurei. Poi un giorno aveva parlato: "un patto lo chiamava", la sua anima in cambio di tutto ciò che aveva perso ed il potere di piegare l'attenzione del pubblico a suo piacimento.
Pensò che era diventato pazzo a parlare con un ombra partorita dalla sua mente, ma avrebbe barattato qualunque cosa pur di vendicarsi per ciò che gli avevano tolto e riavere la sua voce, strinse l'accordo senza pensarci due volte.
Non avrebbe mai immaginato cosa poteva comportare: un piccolo passo alla volta quella voce oscura si insinuò nei suoi pensieri, l'ombra aveva fame e non bastava mai: all'inizio erano piccole stranezze come ridere davanti ad una sciagura altrui o mangiare carne cruda, ma poi le cose cominciarono a sfuggire al suo controllo quando iniziò a desiderare di infliggere dolore agli altri e nutrirsene. Più di una volta il pensiero di uccidere chi casualmente lo intralciava lo aveva sedotto, si era sempre trattenuto, ma stava perdendo man mano il controllo scivolando in quel baratro nel quale si era cacciato da solo.
Ed ora si trovava lì, non ricordava come ci era arrivato e cosa stava facendo davanti a quella vasca.
L'Entità doveva aver percepito il suo disorientamento, alle sue spalle sentì la sua presenza sovrastarlo gli enormi occhi cremisi si avvicinarono al suo orecchio:
"La parte della donzella disorientata non ti si addice " sussurrò divertito
"Hai fatto un ottimo lavoro, adesso mangia"
Senza che potesse rendersene conto le braccia si mossero da sole tremando, emersero dal pantano di sangue rivelando il coltello che aveva nella mano.
Cosa aveva fatto?
La mano prese a tremargli, la presa vacillò e si allentò, il coltello cadde nuovamente nella polla rossa.
Il conduttore radiofonico alzò lo sguardo sulla sua vittima: capelli corvini, una donna ormai matura ma dai lineamenti raffinati.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime
"Non posso" la voce era inudibile e gracchiante, l'acido l'aveva resa irriconoscibile.
"A questo punto credo tu non abbia scelta" canticchiò l'Ombra scoprendo un sorriso affilato.
Mosse una mano fatta di tenebra e nell'aria apparvero dei vèvè* incandescenti: dal nulla una catena della stessa energia si strinse al collo ed ai polsi dello speaker.
Ci fu un breve silenzio i simboli galleggiavano a mezz'aria nell'oscurità, il senso di oppressione era palpabile, i fanali scarlatti dell' Ombra si spalancarono pronti a divorare la loro preda:
"ED ORA MANGIA!"
Quelle catene impalpabili lo tenevano soggiogato, erano terribilmente pesanti, provò ad opporsi con tutte le forze che aveva in corpo, ma oramai non aveva più controllo sui suoi movimenti.
Da dietro gli occhiali mise a fuoco il viso della vittima che giaceva nella vasca, sgranò gli occhi in preda al terrore: davanti a lui sua madre era ormai priva di vita.
La sua sanità mentale andò in pezzi: l'unico affetto che aveva mai avuto, la sua famiglia, l'unica che nel 29 nonostante la crisi aveva creduto nel suo progetto alla radio.
Il viso della donna era coperto di capelli, il corpo esangue giaceva in una posa scomposta all'interno della vasca di porcellana.
Il giogo a cui era incatenato gli sollevò la mano, il sangue colò lungo i bordi bianchi della vasca rigandola di rosso.
Avvicinò il palmo al petto di sua madre, leggermente a sinistra: lentamente le dita si fecero largo con le unghie nella carne attraverso lo squarcio che aveva aperto con il coltello, in profondità, fino a stringerle il cuore.
La sua mente collassò
Le lacrime bruciavano.
Urlò ma le corde vocali ormai bruciate non risposero.
La mano si strinse e tirò forte, si sentì un rumore viscido e sordo di ossa frantumate, avvicinò alle labbra il cuore di sua madre.
Vide quella scena come proiettata lentamente su una pellicola in bianco e nero, come se fosse lo spettatore di quell'orrore. Doveva vomitare, scappare, abbracciare sua madre e rimettere tutto a posto.
Sentì i denti affondare nella carne cruda, umida, il sapore ferroso del sangue si appiccicava alla lingua.
Provò un conato di vomito.
Poi si ritrovò a leccarsi le dita con gusto.
L'ultima parte sana della sua anima urlò. Era andata
Le urla arrivarono alla gola, questa volta spinse fuori tutto il suo dolore, erano così strazianti e forti che gli squassarono il petto.
"Ora il patto è concluso, goditi la tua voce e.... tutto il resto"
l'Ombra fece un gesto plateale verso il macabro banchetto che stava consumando e poi svanì alle sue spalle schioccando le dita.
Adesso erano una cosa sola.
Alastor alzò la mano viscida di sangue e si accomodò gli occhiali sul naso, un bagliore rosso balenò nei suoi occhi, il suo viso era piegato in un sorriso innaturale.
" Non si è mai completamente vestiti senza un sorriso"
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Giovedì sera, nella mia serata con una amica, siamo finiti a parlare di un argomento a me molto caro e che ormai riempie la mia quotidianità, ovvero il sentimento anti-meridionale, che per me è una parola estremamente riduttiva, il problema è e sta diventando molto più complesso di quel "anti".
La parte facile per me è affrontare i razzisti quelli veri, perché io ho smesso con la logica buonista, melensa ed estremamente inutile del "dobbiamo essere migliori di loro", alla violenza io reagisco con altrettanta violenza, la deterrenza non è mai la soluzione al problema, ma lo è al mio. Oggi io li provoco volutamente, anche perché si legge già dalle prime parole il loro pensiero, loro VOGLIONO tirare fuori la loro "superiorità", è una necessità talmente forte dal risultare banale riuscire in questa cosa, e poi li smerdo pubblicamente, si finisce a fare la voce grossa, per ora non mi è mai accaduto ma sarei pronto ad arrivare anche alle mani, per me è un fatto personale, la vivo come una guerra perché tale è. E funziona, perché poi la merda parla con l'altra merda, e si è creato il vuoto attorno a me, ormai faccio fatica pure ad incrociarli perché "Antonio è uno stronzo, non ci voglio avere a che fare, non gli si può dire nulla". Che poi, giusto per chiudere questo paragrafo, quelli più infami sono proprio quelli vestiti da persone ultra-tolleranti (a loro modo di dire). Ultimo esempio in ordine di tempo? L'ho visto qua sopra, periodo di Sanremo, Pelù tira di botto una borsetta da una signora seduta in prima fila all'Ariston, e qualcuno ha avuto l'idea di farci subito un meme con su scritto "ED E' SUBITO NAPOLI". Da ammazzarsi dalle risate, si fa per scherzare, però io poi non capisco mai perché, se dovessi prendere una foto qualsiasi dal web di una persona con un boa rosa, piume e paillettes e ci scrivessi sopra "ED E' SUBITO FROCIO", io passerei *giustamente* per un intollerante troglodita di merda, quando io non ci vedo moltissima differenza tra i due esempi. Che ci volete fa', il mondo è quello che è, e, giusto una nota, questa persona non è nemmeno una brutta persona, ho citato la cosa solo perché "fresca", qui sopra c'è ben di peggio, c'è gente talmente di merda che se l'intolleranza fosse una materia, potrebbero tenere dei dottorati di ricerca, ed è proprio per questo motivo che io non credo in alcun tipo di dialogo o confronto o educazione, la mano in faccia, lo sputo in un occhio, l'insulto pesante è l'unica risposta valida, non esiste civiltà, umanità o persino compromesso.
Ma adesso passiamo ai miei nuovi nemici, con i quali ho molta difficoltà a capire come interagire.
In primo luogo perché, e l'ho scritto tante volte qui, non ci ritorno, io ero uno di loro. Ma la cosa che mi irrita, mi fa davvero incazzare, ancora di più della marmaglia descritta sopra è che da un lato si schierano inconsapevolmente dalla parte dei carnefici facendo finta di fare un favore alle vittime, dall'altro identificano il problema nella vittima stessa, per loro è l'origine di tutto il male, per condire il tutto con il classico velo ipocrita dell'immagine e dell'accettazione sociale, che a loro detta è più importante del vestito che uno si sceglie.
Se la smettessi di fare la macchietta, non si alimenterebbe lo stereotipo che ci colpisce.
Che è un po' come risolvere in modo facile il problema del colore della pelle, no? Che ci vuole: se i neri smettessero di essere tali e diventassero bianchi, fine del casino. O, per riprendere un po' l'esempio di prima, avete presente quando, ad ogni Pride, una buona fetta dei media riprende e documenta *esclusivamente* solo una sezione della manifestazione, dove ci sono persone che liberamente e sacrosantemente espongono il loro vivere nel modo che le rende più felici e queste immagini vengono poi puntualmente strumentalizzate con "Hai visto? Quelli sono gli omosessuali, gente che sculetta, mezza nuda, che prende cazzi ad ogni angolo di strada! Se si comportassero come tutti gli altri, non verrebbero discriminati!". Quindi la soluzione è nascondersi, cambiare identità, così le merde di prima si sentono a proprio agio e l'intolleranza, puff, scompare per magia.
L'errore di fondo e molto grave che queste persone commettono è nel non capire che il pregiudizio non è una cosa che si alimenta, è una cosa immutabile, che esiste perché fa parte della propria identità. Quello che le merde fanno non è alimentarlo, non ce ne è bisogno, hanno solo necessità di conferme per supportare il loro bias.
Vi ricordate quella storia di quel coglione di tabaccaio che rubò il biglietto vincente alla signora anziana e provò in modi ridicoli a scappare alla Giustizia facendo una delle figure di merda più eclatanti degli ultimi anni? Una persona "civile" di Tumblr postò la notizia presa da uno dei tanti quotidiani online qui sopra per farci due risate, e fin qui nulla di male, se non fosse che poi aggiunse un tag che recitava poteva accadere dovunque. Ed è qui il cherry-pick dell'intolleranza, il razzismo più infame, in questo minuscolo gesto, estremamente subdolo e che passa sempre in secondo piano, come quell'insulto detto a denti stretti, ovvero la ricerca di conferme, "ho ragione, ci ho sempre visto giusto su quella gente", che non è nemmeno il pensarlo, se dovessi dirvi tutto quello penso altro che razzista, è il volerlo affermare, urlare, pubblicamente, perché è una verità che ESISTE A PRIORI e va solo ripetuta.
Quello di cui queste nuove persone, come vogliamo chiamarle, ingenue?, non si accorgono è che l'equazione razzista esiste, pre-esiste le azioni e persiste nel tempo, ed è INDIPENDENTE da qualsivoglia episodio una persona possa essere protagonista, non c'è alcun gesto che possa cambiare le cose. Riconoscono che il problema è reale, ma oh, è colpa nostra, e se posso disegnare un pattern comune è che tutti questi soggetti non l'hanno mai subito, o lo hanno visto applicare su altre persone e hanno preferito voltarsi, e quando provo a spiegare tutto questo papiello, finisce sempre in una scena muta. Vi giuro che faccio una fatica immensa a gestire la rabbia anche verso di loro, perché tutta questa stronzata è coperta da una vomitevole buona fede, non si meriterebbero le mie uscite incazzose, ma sentirsi additati non è mai piacevole, e mi ritrovo ogni volta in un disagio infinito che mi trovo ahimè a gestire con quel poco di diplomazia che sono riuscito a raccogliere negli anni.
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/02/chiara-ferragni-tutta-la-famiglia-nel.html
Chiara Ferragni, tutta la famiglia nel mirino degli hater: la mamma cancella i commenti negativi. La nuova strategia dell'imprenditrice Chiara Ferragni ancora sott'attacco. E con lei anche mamma e sorelle. Chinque si "avvicini" su Instagram all'influencer più seguita d'Italia, viene colpito da aggressioni social e shitstorm (le ondate di insulti online da parte di utenti social). Molte persone non hanno perdonato a Chiara Ferragni la vicenda del pandoro-gate (e tutte le implicazioni che ne sono seguite), trovando ogni modo possibile per accanirsi contro di lei. A spiegare la delicata situazione dell'imprenditrice è Roberto Esposito, Ceo di DeRev, una società di strategia e comunicazione digitale. Intervistato dal Messaggero ha rivelato che «chiunque venga accostato al bersaglio è sotto tiro. Una contaminazione potenziata dal fatto che i commenti sono ancora limitati sul suo profilo». Gli insulti alla sorella Valentina La sorella più piccola non esce indenne dalla bufera che ha coinvolto l'influencer. Sotto ai suoi post i commenti che mirano a colpire l'imprenditrice sono tanti, qualcuno si vuole accanire su di lei, altri vogliono aggirare il blocco che Chiara ha attivato sotto ai propri post. «Puoi dire a tuo cognato Federico che i problemi dell'Italia sono anche le truffe che fa sua moglie? Grazie», si legge sotto uno dei post. «L’errore non era la comunicazione. L'errore era la sostanza - ha aggiunto qualcuno -. Tu guadagnavi un sacco di soldi da un'operazione fintamente benefica. E lo sapevi benissimo, tanto che hai aspettato la multa per ammetterlo». Sorella di Chiara e con 5 milioni di follower, Valentina Ferragni è un bersaglio scontato del popolo di Instagram. Una vittima collaterale della guerra dichiarata da tanti utenti all'imprenditrice milanese. A farne le spese, è tutta la famiglia. Presa di mira anche l'altra sorella, Francesca Commenti, prese in giro e insulti anche nel profilo social di Francesca Ferragni, più giovane della sorella Chiara di due anni, che conta poco più di un milione di follower su Instagram. «Tutto pagato coi soldi fatti lucrando sulla pelle di bimbi malati....... CAROGNE!!!!!!!!», uno dei commenti che si legge sotto la foto delle sorelle in un ristorante in Piemonte. Il post, però, è di diverse settimane fa e il commento molto più recente a testimoniare il fatto che la battaglia social contro l'influencer è più viva che mai e gli haters non accennano a diminuire. Molti di questi commenti negativi vengono alimentati anche dal fatto che ricevono tantissimi like. La mamma fa scudo, cancella i commenti negativi Marina Di Guardo, mamma di Chiara, è in prima linea per difendere la figlia. La donna, senza paragoni con l'impero di follower della blogger, conta un ampio numero di follower: quasi 700mila. Ma scorrendo i post la differenza con gli altri membri della famiglia è netta, nessuna frase di inguria, nessun insulto. Che non sia stata oggetto di bersaglio? Qualcosa fa pensare il contrario, come il commento che si legge soptto uno dei suoi post: «Perché ha cancellato il mio commento?». Per tutelare la figlia potrebbe aver adottato la strategia di eliminare le frasi degli haters. Una scelta, di sicuro, è stata già fatta. Ed è quella di limitare i commenti. «Chiara Ferragni ora è nella versione capitana d'impresa» «È la quarta Ferragni che vediamo in questa crisi: prima l’imprenditrice vittima, poi la donna contrita, a seguire l’influencer in timida sperimentazione e ora la capitana d'impresa che fa la voce grossa attraverso le comunicazioni formali», ha sottolineato Roberto Esposito al Messaggero. Una vera e propria evoluzione. «È passata da una sorta di supplica speranzosa di non essere abbandonata, convinta che tutto sarebbe passato, al considerare che probabilmente non passa. Quindi, ora, sta vincendo la paura, di fronte alla quale capita spesso di alzare i toni pur di salvare il salvabile». L’isolamento Secondo l'esperto di comunicazione, l'imprenditrice avrebbe dovuto prendere subito «le redini della crisi» per poterla controllare come «trendsetter e protagonista attiva». Chiara Ferragni sarebbe risultata «più affidabile» se avesse dimostrato «di essere all’altezza della sua fama». La strategia l'influencer l'ha scelta da tempo ormai, quella di chiudere i commenti e di isolarsi. Il rischio però, ora, è un altro. «Si è chiusa in un castello, in un isolamento straniante considerata la sua storia e le ragioni del suo successo - ha concluso -. Qui, al momento, sta il suo più grande errore». Il «contrattacco» della Ferragni All'orizzonte pare però esserci una svolta nella strategia di difesa. Dalle lacrime, all'isolamento, ora sembra emergere qualcos'altro. Nell'ultimo comunicato contro Pigna dopo lo stop al contratto, Fenice (società legata alla Ferragni) ha operato per una comunicazione decisa, in cui si sono sottolineati i problemi a livello contrattuale. Come sottolineato al Messaggero da Andrea Camaiora, esperto di comunicazione e Ceo di The Skill, è arrivato il momento del contrattacco. «Al di là del merito di alcune situazioni, la debolezza reputazionale dell’influencer ha aperto la strada a un regolamento di conti nel mondo dell’economia e della moda». Vedere l'imprenditrice e Fenice in difficoltà a qualcuno conviene. Sono grandi e «ingobranti» nel mercato. La posta in gioco è alta, tanto che «a muoversi sul "ring" sono alcuni dei migliori consulenti», ha sottolineato Camaiora. «Per la Ferragni non è una guerra lampo» «Devono ridurre al minimo l’interesse mediatico per tutto ciò che gira intorno al mondo Ferragnez - ha proseguito l'esperto di comunicazione -. Poi vi sarà la fiammata di rito, con gli eventuali rinvii a giudizio o, perché no, c’è da augurarlo, le archiviazioni». La fine è tutt'altro che vicina. «Se qualcuno aveva fatto credere a Ferragni che sarebbe stata una guerra lampo, ha sbagliato». Un periodo complicato per il team comunicativo dell'imprenditrice al centro della bufera.
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Title: "Svegliati"
La notte era calata da un bel pezzo, come anche il suo sonno. Ma un rumore irregolare si infila nei suoi sogni, fino a svegliarla lentamente. Fatica a svegliarsi, e quando riesce ad aprire gli occhi infatti è ancora buio inoltrato. Volta lo sguardo verso la finestra dietro di lei da cui entra la poca luce presente, cercando di capire se la fonte del rumore fosse qualche pericolo da fuori.
Ma è tutto tranquillo, l'unica cosa che vede nella penombra è il braccio di Greengrass. Non è un tipo affettuoso, affatto. Non fa grandi gesti né esprime ciò che prova se non forzato. Ma lei si addormentava sempre di lato rivolta verso di lui, e ultimamente quando si svegliava prima di lui, trovava sempre il suo braccio ad avvolgerla.
Come ora, eccolo lì quel braccio protettivo attorno al suo fianco ad avvolgerla nel sonno. Con la mano sempre ben aperta sul suo sedere a stringerlo, molto da Greengrass in ogni caso.
Capisce man mano che si sveglia, che il rumore non viene da fuori, ma proprio a fianco a lei, per cui inizia ad accarezzarlo quel braccio cercando di capire se è sveglio.
<<Greengrass? Sei sveglio?>>
Il respiro sembra strozzato, spaventato. Per qualcuno che non esprime i suoi sentimenti, è un respiro preoccupante. Lo chiama ancora toccandogli il braccio, ma sembra anzi farsi più spaventato. Sembra il respiro di un attacco di panico.
Si appoggia al braccio spostandosi appena verso di lui individuando una candela nel buio e mormora un "Lumos" che la fa accendere. E appena la luce fievole li illumina, vede la fronte lucida di Alan, aggrottata con espressione sofferente che non le lascia alcun dubbio su cosa stia provando.
Si tira su portandosi sopra di lui, il braccio che la segue in quel movimento continuando a tenerle il sedere. Porta una mano sul suo viso, accarezzandolo più volte e chiamandolo ora a voce alta per svegliarlo: <<Greengrass, svegliati. Greengrass>>.
Il respiro si abbassa diventando più regolare, e gli occhi lentamente si aprono trovandosi subito sui suoi. La mette a fuoco lentamente, un'espressione sognante che non smette di guardarla, un sorriso inebetito tutto beato: <<La mia Suzy>>.
Ok, questo era ancora più preoccupante del terrore di prima. Perché diavolo la stava guardando con aria tanto dolce ora? Porta anche l'altra mano sul suo viso, accarezzandogli la pelle con la punta delle dita guardandolo in quegli occhi persi. <<Greengrass ti senti bene?>>.
Lui la guarda un istante. Poi aggrotta la fronte e sbatte più volte gli occhi, evidentemente rendendosi conto solo ora di essere sveglio. Si schiarisce la voce tirandosi un po' su sul cuscino e annuisce: <<Certo certo, mi hai solo svegliato>>
Lo guarda capendo, e gli sorride: <<Stavi sognando?>>.
Lui la guarda sbigottito, borbottando confuso: <<Cosa? Che...io non...>>.
È divertente vederlo balbettare. Decide di fingere di non capire che pensava di sognarla, per cui posa solo il mento sul suo petto guardandolo, preoccupandosi se stesse davvero bene: <<Sembrava avessi un incubo>>.
<<Mh>> lui annuisce vagamente, tornando di molte parole come sempre. Nei suoi occhi rivede però i suoi demoni, come se rivivesse proprio i pensieri di quell'incubo. Non le piace vederlo così cupo, per cui piega appena il viso guardandolo e dedicandogli un sorriso: <<Me lo racconti?>>
Lui la guarda. Sembra studiarla, la mano che dal sedere alla schiena la accarezza come se lo rilassasse.
<<Vuoi saperlo?>>. Con lui è sempre una scommessa, potrebbe non raccontarle niente come volerne parlare. E quella domanda è fondamentale. Annuisce solamente guardandolo, lasciandogli il silenzio che gli serve per trovare le parole.
<<A volte ci sono dei sensi di colpa che tornano a perseguitarmi>> lo ascolta, accarezzandogli il petto con la punta delle dita. Lui continua <<Per mia moglie morta, e so che io l'ho spinta a tanto. E quando arrivano mi riporta a tutto quello che è accaduto, ogni cosa. Il mio carattere, i miei atteggiamenti, non sono una bella persona dovresti saperlo>>.
Le carezze sul suo petto diventano leggere, come a provare a togliergli quel peso <<Una cattiva persona non ha questi sensi di colpa, Greengrass. E tu non lo sei, e te lo dice una persona che ti odia fin dalla scuola>>.
Lui scuote appena il viso più convinto, e annuisce parlando grave <<Erano così insopportabili che mi sono buttato da una finestra una volta, non ne potevo davvero più di sentirli>>.
Susan si schiarisce la voce a quelle parole, posando la mano sul suo petto portandosi sopra di lui in modo che possa guardarla bene negli occhi: <<Ascolta, ti conosco fin dalla scuola Greengrass, eppure sono qui. Ti ho scelto ancora, e voglio te. Quindi io sono arrivata prima di quei sensi di colpa, e non gli permetterò di tormentarti. Quello posso farlo solo io>>.
Non dice nulla, porta solo una mano a sfiorare il viso portandole indietro i capelli <<Sono avvisati, farò qualsiasi cosa per scacciarli dai tuoi pensieri>>.
Il suo sguardo si fa interessato, e annuisce: <<Ripeti, per favore?>>
Susan sorride, vedendo il suo sguardo tornare scanzonato come sempre. E si fa più vicino al suo viso parlando sulle sue labbra scandendo ogni parola <<Qualsiasi cosa>>.
Lui annuisce, stringe appena le labbra cercando di restare serio. Susan sfiora il naso sul suo godendosi quello sguardo, capendo ogni pensiero senza incubi.
<<Beh, se intendi qualsiasi cosa...>> scoppia a ridere avvicinandosi al suo viso che svela ora quel sorriso furbo, prima di premere le labbra alle sue stringendosi a lui.
@alanmgreengrass
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Selvatica - 22. Stufa
Lo sguardo che le rivolse Carmine la rassicuro un poco, anche se aveva la nausea e il cuore che sbatteva contro le costole come un tamburo battente in un corteo di sbandieratori. Antonio quella sera la ricevette in salotto, una stanza sfarzosa con tappeti persiani e grosse statue d marmo agli angoli. La squadrò da capo a piedi, sogghignando, prima di andare a sedersi sul divano di pelle marrone scuro.
Carmine e Rocco erano in corridoio, insieme ad altri tre uomini. Quella sera in casa c'era un discreto via vai e, mentre aspettava Antonio, Corinna aveva già visto arrivare più di una persona, tutti diretti verso l'ufficio di Antonio.
«Sei venuta a dirmi che parti con me?» Antonio si accese una sigaretta e buttò fuori il fumo, piegandosi in avanti e appoggiando i gomiti sulle gambe.
«Sono venuta a portarti i soldi.» Tirò fuori dallo zainetto la busta bianca. «Siamo pari, adesso.»
Antonio alzò le sopracciglia. «Come hai fatto a trovare i soldi così presto?»
«Ho vinto alla lotteria» rispose sarcastica.
Aspirò un'altra boccata di nicotina. «Ti sei messa a fare la puttana alle mie spalle?»
Corinna sentì il sangue ribollire nelle vene. Ne aveva abbastanza di tutti quegli insulti. Ne aveva abbastanza di essere apostrofata in quel modo. Si sentiva male verso se stessa, per essersi invischiata in una situazione così bassa. Sollevò il mento.
«Adesso basta, sono stufa di essere insultata da te!» Aprì la busta e afferrò una manciata di soldi. «Prendi questi cazzo di soldi e va' all'inferno una volta per tutte!»
Li lanciò verso di lui. Le banconote svolazzarono per aria, alcune finirono addosso all'uomo, altre per terra. Antonio lentamente spense la sigaretta in un posacenere di cristallo. Quando si alzò tutto il coraggio le venne meno. Le tremarono le gambe quando vide che in quegli occhi neri ardeva un fuoco oscuro.
«Oh, Corinna. Tu mi piaci. Mi piace questa rabbia che hai dentro e che riversi tutta su di me. Qualsiasi ragazza al tuo posto sarebbe già in ginocchio a pregarmi, invece tu hai anche le palle di gettarmi i soldi in faccia con tutto il disprezzo che provi per me.» Le girava intorno, come un animale con la sua preda. «Perché fare di te una banale puttana quando potrei farti diventare una regina. La mia regina.» Si piazzò davanti a lei e pe prese il mento. «Guardati, sei così regale. So che hai paura di me eppure lo nascondi così bene... tutto questo mi eccita.»
Corinna non si sentiva così forte come la stava descrivendo lui, sentiva che se non fosse uscita al più presto di lì sarebbe svenuta. Essere guardata come un oggetto da usare lo poteva sopportare ma essere guardata da Antonio con lussuria le faceva rabbrividire tutto il corpo dal ribrezzo. Fece un passo indietro e chiuse gli occhi. «Ho rispettato i patti. Non ti devo più niente.»
«No, no, no. Devi dirmi chi ti ha dato i soldi. Dimmelo e ti prometto che non ne parleremo più.»
Raccolse un ultimo brandello di forze. «Sono miei. Non ho più niente, ti sei preso fino all'ultimo centesimo. Sei contento?»
«Hai sempre la tua casa.»
«Cos'è, vuoi anche quella? Prenditela, prenditi tutto, basta che mi lasci in pace. Preferisco vivere in mezzo alla strada piuttosto che avere ancora a che fare con te.»
Antonio digrignò i denti e si avventò su di lei, bloccandole entrambe le braccia. «Ho detto che mi sei simpatica ma il gioco è bello quando dura poco. Rocco!»
L'uomo arrivò nella stanza. «Tira fuori il coltello. Tienila ferma.»
Corinna si dibatté tra le braccia d'acciaio di Rocco. Una era avvolta intorno al suo corpo e le bloccava la mobilità delle braccia, l'altra era dietro la sua testa e gliela teneva ferma.
Antonio fece scattare la lama. «Corinna non ho tempo da perdere stasera, mi stanno aspettando. Dimmi dove hai preso i soldi se non vuoi che ti rovini questo bel faccino.»
Le strinse il viso in una morsa dolorosa, premendo la punta contro la carne tenera della guancia, sotto l'occhio.
«Te lo giuro, sono i miei» disse con voce incrinata.
La punta trapassò la carne. «Corinna...»
«Sono i miei!»
Il cuore di Corinna ebbe un sussulto, Rocco allentò la presa e si voltò verso la porta. Antonio allontanò il coltello dal viso della ragazza. Lei si toccò la guancia, guardando una macchiolina rossa sulle dita che tremavano.
Carmine era in mezzo alla porta del salone, i pugni serrati e gli occhi fissi sul suo capo. «Glieli ho dati io.»
«Bene, bene.» Antonio chiuse il coltellino e lo passò a Rocco. «Hai deciso di sedurre uno dei miei uomini?»
Corinna non aveva più la forza di replicare. Continuò a tenere la testa bassa concentrata a cercare di regolarizzare il respiro. Tutto quello era assurdo, non si poteva arrivare a quel punto per un po' di denaro. Forse anche suo padre si era sentito così, forse anche lui era stato minacciato prima di decidere di togliersi la vita.
Fu Carmine a rispondere per lei. «No, l'ho fatto perché mi faceva pena. Andiamo, capo, lo sai anche tu che non ha niente a che fare con tutto questo. È solo una brava ragazza che si è trovata in un momento di difficoltà.»
«Con te faremo i conti dopo.» Si avvicinò a Corinna e le prese il viso così che potesse guardarlo. Osservò il taglietto sulla guancia. «Considera la questione dei soldi risolta, per il momento. Ho deciso che ti voglio nel mio letto. E presto o tardi accadrà.»
«Accompagnatela a casa» disse ormai già fuori dalla sala.
Rocco le prese un braccio per guidarla fuori ma Corinna si scansò, sforzandosi di mettere un piede davanti all'altro e uscire da quella casa prima ancora che dal torpore nel quale era ricaduta la sua mente quando la lama del coltello le aveva bucato la pelle del viso.
Percorse diversi metri lontano dal palazzo prima di accasciarsi sulle ginocchia e cominciare a piangere. Si portò le mani sul volto, asciugando in fretta le lacrime mentre le mani di Carmine si poggiavano sulle sue spalle.
«Stai bene?»
«Lasciami. Lasciatemi stare tutti e due.»
«Se ti vedesse Antonio in questo momento non penserebbe più che sei una tosta» provò a scherzare Rocco.
Si tirò su, scoccandogli un'occhiata carica di odio.
Lui si fece serio. «Ehi, Corinna. Antonio non ti avrebbe fatto niente, voleva solo spaventarti un po'. In ogni caso non glielo avrei permesso. Torno sopra, voi andate.»
«Ha ragione» fece Carmine. «Antonio ha un debole per te, gli piace giocare con te.»
Si incamminarono. Corinna infilò le mani nelle tasche del cappotto cercando un po' di calore per sciogliere il gelo che aveva dentro.
«Come posso fare per chiudere con lui una volta per tutte?»
«Non lo so. Ma almeno sarai libera per un po'.» Carmine scrutò il suo profilo. «Corinna...»
«Sì, lo so. Sono in debito anche con te» rispose lei sospirando. «Silvia stasera sta facendo il turno di notte in ospedale, altrimenti ti avrei fatto salire a casa.»
Carmine sorrise, rivelando quel poco di dolcezza che ancora gli rimaneva. Forse era Silvia che gliela alimentava e perciò voleva vederla a tutti i costi. Forse lei era la sua ancora di salvezza. «Grazie, ma non volevo dire questo. Volevo dirti che secondo me dovresti sfruttare questa fissazione che Antonio ha per te. Se solo ti dimostrassi più disposta potresti ottenere da lui tutto quello che vuoi.»
«Non potrei mai, io lo odio.»
Pensò a Ante, alla bugia che gli aveva raccontato, che non si sentiva bene e non poteva andare da lui quella sera. Pensò che era arrivato in un momento davvero incasinato della sua vita, ma non avrebbe voluto rinunciare a lui.
Accadeva tutto così veloce, era tutto così folle.
Carmine la lasciò sotto casa. Non riusciva ad infilare la chiave nel portone tanto le tremavano le mani. Le bruciava anche la guancia, anche se sapeva che si trattava solo di un piccolissimo taglio. Respirò lentamente per calmarsi, due, tre volte.
«Corinna.»
Voltò la testa e impallidì. «Ante.»
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Devo avere ancora il tuo profumo, da qualche parte, ben nascosto, anche se le maglie di quegli anni ormai le ho buttate tutte, anche se ormai ogni parte di pelle che ha sentito il tuo tocco l'ho sudata via tutta, una corsa dopo l'altra, un concerto dopo l'altro.
Devo avere ancora la tua voce da qualche parte, perché mi è capitato certe notti di sognarla ed era proprio com'era la tua e che sicuramente non è più, perché com'è diventata ora io non lo so.
Devo avere ancora i tuoi occhi, da qualche parte, e anche le tue labbra, perché passavo così tanto tempo a guardarle, mentre mi parlavi, che potrei disegnarle ad occhi chiusi.
Da qualche parte ho ancora il sogno di regalarti un mazzo di fiori e proporti un'altra transenna, un altro concerto, solo per avere un pretesto per tenerti per mano, così da non perderci in mezzo alla confusione di cinquantamila persone
Auguri
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Ciao, per puro caso mi sono trovat3 in uno spaziotempo - in una frazione minuscola, bada bene, fragile, effimera, destinata a sfuggirmi via come se niente fosse - che mi piace, che ritengo leggermente migliore del pezzettino di spazio tempo di un attimo fa.
Come faccio a restarci? O a progredire partendo da esso, senza brusche sterzate e cambi di programma e delusioni e porte in faccia?
È stupido pensare di avere un minimo di controllo su una cosa del genere?
È una pia illusione?
Non riesco ad abbandonarmi, a dire che è vero io voglio solo una cosa e quella cosa è -- ----- ----- ma che non la devo volere troppo perché desiderare è volgare.
Lo so, che la sto facendo sciogliere via questa scheggia di spaziotempo piacevole, amandola così tanto. Ma cosa posso fare io se non ascoltarmi e gridare ciò che voglio ad alta voce?
Posso solo cercare di dilatare ogni attimo, respirando a fondo e sentendo il sole che mi riscalda la pelle e mi ricorda che esperire (che è l'unica cosa che possiamo fare, noi umanità) è anche piacevole.
Sopra ogni cosa posso ringraziare, per ciò che mi è stato concesso, che non è poco.
Ma posso anche azzardarmi a sperare in di più. A sperare che questo frammento minuscolo non si sciolga tra le mie mani appena mi sembra di averlo agguantato. Perché non mi interessa se è volgare (mi dispiace) ma io non posso non sperare in -- ----- ----- se me lo sventolano sotto il naso così.
La paura è l'altra faccia del desiderio.
Se per paura non continuo a gridare quello che voglio, potrebbe darsi che quello che voglio altrettanto se ne vada via.
Il segreto secondo me è camminare sul ciglio tra paura e desiderio e provare a non cadere mai. Per questo che è tutto effimero e dura poco, per questo che è un dono e una benedizione e devo ringraziare, per l'universo in cui mi trovo, che sia leggermente migliore o leggermente peggiore.
Sono grata dell'equilibrio momentaneo tra ciò che desidero e la paura che non si avveri.
23-08-24
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19. (La danza)
Nessuno lo sa, come fu, che s'incontrarono l'alga e lo scoglio. Nessuno sa niente, né dentro l'acqua del mare, né fuori. Nessuno sa neppure quando avvenne. Non si sa, ma avvenne. Fu forse durante una di quelle mareggiate, quando le onde si strappano ed echeggiano nell'aria in filamenti di perle di vetro? O fu quando l'acqua andava lenta, lenta tanto che pare s'ispessisca, che i pesci pure non abbiano bisogno di rifugio? Nessuno lo sa. L'alga andava, e lo scoglio stava fermo. Così direbbe un occhio distratto. Forse gli occhi delle stelle ne sanno di più, loro sussurrano che nessuno sta fermo e nessuno si muove. Visti da lassù siamo tutti un'unica febbre, direbbero, un'unica quieta febbre. L'alga se ne andava senza un destino, che non fosse il suo verde vestito, e lo scoglio non aveva che la sua pelle e la sua voce dura. Forse l'alga si poggiò, forse lo scoglio riuscì a fermarla. Forse l'Oceano manovrò in tal senso, o forse fu un colpo distratto di timone. Ma quando l'alga toccò lo scoglio e lo scoglio toccò l'alga, scoprirono una cosa. Non era neanche una radice, l'alga, lo scoglio non era un campo arato, eppure, s'abbracciarono. E rimasero così, toccandosi, nulla poterono le correnti, non un'altra alga poté mettere il passo, né lo scoglio avere altri ospiti. Nessuno sa perché, ma il loro abbraccio, durato il tempo di un attimo, l'attimo dopo, era ancora lì. L'abbraccio pareva aspettare, indifferente; aspettò che la luna chiamasse a sé la marea; poi, che il sole scaldasse le acque basse della riva; e aspettò quando il cefalo li guardò stupito, non avendoli mai visti prima assieme; lasciò passare le zampe del granchio e anche quando poi il mare si tuffò un poco più in basso, l'aria marezzata di sale li vide così, stretti, uniti. L'alga era entrata nello scoglio; o lo scoglio aveva preso l'alga, è difficile da dire. Per quel che può interessare, poi. C'era qualcosa che li teneva, questo era curioso, come se granuli di lei fossero diventati parte di lui e viceversa. Come se lì dove s'erano uniti, per quanto uno si sforzasse, non si potesse più capire dove finisse l'uno e cominciasse l'altra. Si sapeva, questo sì, che un'ondata irriguardosa avrebbe potuto strappare l'alga; ma per strapparla tutta, dalle fondamenta, per così dire, avrebbe dovuto portare via anche un pezzo dello scoglio. Del resto era ugualmente impossibile cavare dall'acqua la faccia ossuta di lui, netta da ogni traccia di quella stoffa smeraldina. Come accadano certe cose, nessuno lo sa. Una danza. Lo scoglio la teneva e l'alga vibrava nell'umore dell'Oceano; che immaginarli divisi, ora, pareva fosse un'assurdità.
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Haragei
vengo a te come dono del drago
divenuta drago io stessa
con il mio Tuca carico di pioggia
con un amore ideale che ama l assenza
ed una canzone che vibra sull' oceano Pacifico
carica di rabbia
con gli occhi dolci di chi in silenzio ama ciò che invecchia
ed è indulgente con la decadenza della vita
un altra scusa: è l'amore a uccidere, silent.
l'amore, quella forza selvaggia e indomabile
ti mostra la via poi resta dietro l'angolo
come un bambino che gioca a nascondino,
un chacravaka nella notte,
per vedere il mondo senza lui dove va a finire
e noi, di nascondino, siamo tutt'ora campioni.
al bivio una porta esclude l'altra ed io non so escludere
so di chi ce l'ha fatta.
ma hai mai visto una donna come me?
a 30 anni distrutta aggrappata a sogni di bimba?
una bimba, una figlia, una mamma, una compagna, una sorella, un amica....
Goffman e Valhadia avrebbero di che parlare davanti a Lacan.
amore è distruzione,
vita è distruzione,
ove la frammentazione è esaudita
la vita brucia in fretta
ed ha il dolce sapore della verità giusta ne cruda.
non ho mai rinunciato al dolore, solo alla bugia.
Augenblicksgott.
ti sei mai chiesto chi era lui?
lo so, come me, non c'è confine.
ma hai mai pensato quale frammento appartiene a chi lo ha saputo esistere?
e quale frammento sarebbe stato se la scelta fosse caduta qualche anno dopo?
quali porte sono state chiuse?
quale voce onirica sussurra i miei pensieri?
a te che sei e ancora non conosco
sarai frammento nella mia testa
voce e cuore nei mei giorni.
vuoto che resta dove vedevi solo nulla.
l'amore è ben lontano dalla mia Querencia.
l'uomo è un virus che sai di prendere e lo fai comunque.
ti contamina. è autore delle urla di cui tutti ridono.
è fabbro della gabbia in cui ti chiudi.
io sono una tossica, mi piace farmi male per riempire i miei vuoti.
l amor4e è la mia droga, p'iù ami più logora senza mai ucciderti.
ecco il segreto di una vita da vampiro, l eterna straziante esistenza,
libertà assoluta e decadente da ogni forma e aspettativa
ama e perdi. e sii libero di soffrire. di trasformarti,
di vivere con la pelle da borderline
e la fame di un randagio.
Matutolypea e sigarette contro la nausea
ogni volta che le mie dita non scivolano tra i tuoi capelli
tu, la mia casa, l'energia del mio Caim.
messaggio giunto a destinazione, presente all'ncontro.
il perchè si vivrà, mille km per non saltare il destino
per un impattante brillenbrillanz.
con un amtsang nel cervello che morde come un amstaff.
slalom tra le tue manovre strauss
occhi sporchi di flashback come salagok sul domani
la scintilla nei tuoi occhi che illumina la via.
in Russia la terza voce ha un nome: Soviest.
quando non sai cosa fare ogni voce tace alla sua,
in me ancora litiga con Sue-Ellen la tedesca paurosa.
orgogliosa lotta alle ombre.
piccolo seme di anguria,
con un cuore che è uno scrigno e un cervello innocente,
buonanotte.
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Lei voleva divertirsi
una sera come tante, appuntamento al bar.
Arrivo ma non ci sei, sento la tua voce, stai arrivando dal parcheggio ma non sei sola.
Mi guardi e capisco, vuoi giocare, vuoi provocare e sentirti potente, ma sei mia e le regole le conosci.
Chi è lui, fortunato o sfortunato, che gentilmente ti cede il passo come gesto galante, e mentre gli passi davanti la sua mano sfiora il vestito che cade perfettamente sulle tue curve, sul tuo sedere.
vi siete seduti abbastanza vicino a me anche se in quello squallido bar non c'era nessun altro.
Faccio finta di leggere una rivista, non ricordo nemmeno il titolo, foto di viaggi, un giornale banale.
Vi spio, sorrisi, battute e le sue mani che corrono lungo le tue gambe.
E sulla tua schiena.
Seduto a fianco a te ti dà un bacio sulla spalla, e so bene cosa sta sentendo perché conosco il tuo odore e la tua pelle meglio di chiunque altro.
Il gioco continua, ti offre da bere.
Io leggo
Il tuo sguardo nascosto verso di me mi fa capire che lo stai usando, è un giocattolo per provocarmi, e lo sai che ci stai riuscendo molto bene.
Sono eccitato.
Molto eccitato
Hai le gambe accavallate ma le affianchi e inizi piano piano a sentirti calda.
Bagnata.
Rovente.
Ti senti pronta.
Gli sussurri qualcosa all'orecchio, lui annuisce.
Mi guardi, sembri chiedere il permesso.
Ok baby, sei libera.
Vai pure, ti aspetto.
Ti aspetto.
Poi si avvicina a me, vuole che mi unisca al gioco.
Ce ne andiamo.
Motel dice lui, tanto sarà lui ad aprire il portafoglio.
Tu ci precedi, sali e apri la porta.
Stiamo entrando, fuori c'è ancora un po'di luce mentre dentro sono soffuse.
Ha scelto un bel posto quel signore, gliene devo dare atto.
Tu prendi il telefono dalla borsa, fai partire la musica e ti muovi sinuosamente tra di noi.
Lui si spoglia.
Sotto a quel vestito in giacca e cravatta un fisico robusto ma molle, di chi lo sport lo ha visto solo in televisione, o forse neanche.
È molto eccitato.
Tu balli e io faccio in modo che le tue spalline cadano per fare scivolare il vestito a terra.
Ora tocca a me.
Mi spoglio mentre le vostre mani cercano di conoscere il corpo dell'altro...
Mi avvicino e tu mi baci appassionatamente!
Ti amo.
Mi guardi
E i tuoi occhi mi dicono che è tempo di giocare, di fare cadere le inibizioni.
Siamo in piedi intorno a te e le tue mani che preparano i giochi.
Lo fai sedere sul letto, ti fai baciare poi mi prendi e mi metti di fronte a lui.
Adesso capisco tutto il gioco, quell'uomo è il giocattolo per entrambi.
Ci sto, ma lo sapevi già.
Di fronte a lui.
Lo guardo dall'alto, mi prende il cazzo in bocca, con una mano mi masturba e con l'altra masturba te.
È ora di giocare.
Lo faccio sdraiare e ti ordino di salire sulla sua faccia.
Non te lo fai dire due volte.
Un cunnilingus molto profondo, dolce e rude.
mentre io decido di succhiarglielo, tu mi guardi e sei eccitatissima, tanto da colargli gli umori in gola e lui assetato beve.
Lui è sdraiato.
Ti alzi, ti giri verso di me, e ti siedi sopra.il suo bacino guardandomi.
So cosa devo fare, sarò io a guidarlo dentro di te.
Muovi il bacino mentre mi guardi e mi baci dando a lui la schiena.
È un giocattolo.
Lui è dentro e adesso vuoi me in gola.
Brava schiavetta!
Ma adesso tocca a me.
Mettiti in ginocchio sul letto baby.
Muoviti.
Lui è nudo sul letto, fermo, inconsciamente sa che deve attendere istruzioni.
Gli dico di scoparti in quella posizione e di stare chino su di te.
E adesso sono io dietro di lui.
Lui lo sperava, forse, lo immaginava, forse...
Baby la tua saliva mi ha lubrificato bene, e adesso lo inculo.
gli faccio colare altra saliva sull'ano, mi appoggio e con poca delicatezza lo penetro.
Lui dentro di te, io dentro di lui
Quel giocattolo si è appena trasformato in un preservativo umano.
I movimenti li detto io e tu stai godendo..
Sta venendo, e ti sta scopando passivamente perché sono io a dare il ritmo delle sue penetrazioni dentro di te e tu lo sai molto bene.
Lui è un profilattico. Nient'altro.
Ma sta venendo dentro di te e io dentro di lui.
Il bugiardino della scatola di Durex è chiara su come si smaltisce, lo si annoda dopo si che si butta nel cestino. E così facciamo con lui.
È lì in un angolo e tu sei mia.
Mi butto sopra di te... ti bacio, ti accarezzo, ti guardo, e poi le tue mani che mi spingono giù a ripulire.
Lo faccio.
Con amore per la mia schiava!
Ti amo!
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Non aver paura, non muoverti, resta in silenzio, nessuno ci vedrà.
Rimani così, ti voglio guardare, io ti ho guardato tanto ma non eri per me, adesso sei per me, non avvicinarti, ti prego, resta come sei, abbiamo una notte per noi, e io voglio guardarti. Non ti ho mai visto così, il tuo corpo per me, la tua pelle, chiudi gli occhi, e accarézzati, ti prego, non aprire gli occhi se puoi, e accarézzati, sono così belle le tue mani, le ho sognate tante volte adesso le voglio vedere, mi piace vederle sulla tua pelle. Così, ti prego continua, non aprire gli occhi, io sono qui, nessuno ci può vedere e io sono vicina a te, accarézzati signore amato mio, accarezza il tuo sesso, ti prego, piano, è bella la tua mano sul tuo sesso, non smettere, a me piace guardarla e guardarti, signore amato mio, non aprire gli occhi, non ancora, non devi aver paura son vicina a te. Mi senti? Sono qui, ti posso sfiorare, è seta questa, la senti?
È la seta del mio vestito, non aprire gli occhi e avrai la mia pelle, avrai le mie labbra, quando ti toccherò per la prima volta sarà con le mie labbra, tu non saprai dove, a un certo punto sentirai il calore della mie labbra, addosso, non puoi sapere dove se non apri gli occhi, non aprirli, sentirai la mia bocca dove non sai, d'improvviso, forse sarà nei tuoi occhi, appoggerò la mia bocca sulle palpebre e le ciglia, sentirai il calore entrare nella tua testa, e le mie labbra nei tuoi occhi, dentro, o forse sarà sul tuo sesso, appoggerò le mie labbra, laggiù, e le schiuderò scendendo a poco a poco,
lentamente, lascerò che il tuo sesso socchiuda la mia bocca, entrando tra le mie labbra, e spingendo la mia lingua, la mia saliva scenderà lungo la tua pelle fin nella tua mano, il mio bacio e la tua mano, uno dentro l'altra, sul tuo sesso, finché alla fine ti bacerò sul cuore, perché ti voglio, morderò la pelle che batte sul tuo cuore, perché ti voglio, e con il cuore tra le mie labbra tu sarai mio, davvero, con la mia bocca nel cuore tu sarai mio, per sempre, se non mi credi apri gli occhi signore amato mio e guardami, sono io, chi potrà mai cancellare questo istante che accade, e questo mio corpo senza più seta, le tue mani che lo toccano, i tuoi occhi che lo guardano, le tue dita nel mio sesso, la tua lingua sulle mie labbra, tu che scivoli sotto di me, prendi i miei fianchi, mi sollevi, mi lasci scivolare sul tuo sesso, piano, chi potrà cancellare questo, tu dentro di me a muoverti adagio, le tue mani sul mio volto, le tue dita nella mia bocca, il piacere nei tuoi occhi, la tua voce, ti muovi adagio ma fino a farmi male, il mio piacere, la mia voce, il mio corpo sul tuo, la tua schiena che mi solleva, le tue braccia che non mi lasciano andare, i colpi dentro di me, è violenza dolce, vedo i tuoi occhi cercare nei miei, vogliono sapere fino a dove farmi male, fino a dove vuoi, signore amato mio, non c'è fine, non finirà, lo vedi? Nessuno potrà cancellare questo istante che accade, per sempre getterai la testa all'indietro, gridando, per sempre chiuderò gli occhi staccando le lacrime dalle mie ciglia, la mia voce dentro la tua, la tua violenza a tenermi stretta, non c'è più tempo per fuggire e forza per resistere, doveva essere questo istante, e questo istante è, credimi, signore amato mio, quest'istante sarà, da adesso in poi; sarà, fino alla fine,
- Noi non ci vedremo più, signore.
- Quel che era per noi, l'abbiamo fatto, e voi lo sapete. Credetemi: l'abbiamo fatto per sempre. Serbate la vostra vita al riparo da me. E non esitate un attimo, se sarà utile per la vostra felicità, a dimenticare questa donna che ora vi dice, senza rimpianto, addio.
Alessandro Baricco, Seta
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OFMD ficlet - VII
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Pete entrò con passo deciso nella cabina del capitano, chiudendosi la porta alle spalle. Stede posò la penna d'oca mentre lo osservava marciare fino al suo scrittoio, piantarci entrambe le mani sopra - stampando impronte di catrame sulla sua preziosa carta da lettere - e prendere fiato per parlare.
Poi però lo sguardo di Pete cadde sul sofà al centro della stanza, dove Ed stava sonnecchiando, e il marinaio richiuse la bocca con uno scatto; fece dietro front e si diresse verso la porta alla stessa velocità a cui era entrato.
"...Pete?"
"Sì Capitano!", rispose automaticamente Pete facendo un mezzo giro su se stesso, per rimanere sull'attenti davanti alla porta. Stede aggrottò le sopracciglia. "Che cos'è stato..?" chiese, accennando con il capo allo scrittoio e alla sua carta piena di ditate. "Stavo- Mi son - Mi sono ricordato che devo fare una cosa." si attorcigliò Pete, gesticolando verso il ponte sopra di loro. "Devo - ah - c'è il fiocco che non -" I gesti delle mani divennero sempre più complicati, finché finalmente intrecciò le dita e si fermò. "...Capito, no?", concluse, tirando su col naso. Stede strinse le labbra. "E prima di ricordarti che -" e con un arabesco della mano accennò al ponte sopra di loro, " - quello che è. Prima, voglio dire, cosa eri venuto a chiedermi?" Pete divenne rosso come un'aragosta. "NIENTE." dichiarò, con sguardo improvvisamente vitreo. Stede allacciò le mani in grembo. "Pete," ritentò in tono più conciliante, "Lo sai che puoi sempre parlare al Capitano, vero..?" "Eraperunbiglietto," rotolò fuori dalla bocca di Pete. Stede attese che elaborasse. Quando ciò non avvenne, gli fece cenno di avvicinarsi. Pete lanciò un'occhiata nervosa prima al capitano, poi alla sagoma addormentata di Ed, e poi spiegò, abbassando lo sguardo, "C'è una cosa che volevo chiedervi di scrivere." E poi sottovoce, "...su un pezzetto di carta." "...D'accordo?" replicò Stede, abbassando la voce a propria volta, "...ma perché stiamo bisbigliando..?" Pete si esibì in una nuova serie di gesti, questa volta all'indirizzo del sofa. "Per non disturbare Ed?" chiese Stede a bassa voce, e il marinaio annuì rapidamente. "Molto cortese da parte tua, Pete-" "...Ma sono già sveglio." intervenne Edward, facendo capolino oltre lo schienale del sofa. "Che combinate?" "Oh!" fecero in coro i due allo scrittoio, in tono diametralmente opposto. "A Black Pete occorre uno scrivano!" annunciò allegramente Stede, mentre Pete emetteva un suono simile a un cigolio.
Stede però non vi fece caso, perché in quel momento Ed si stava alzando dal sofa.
Aveva i capelli sciolti e gli occhi ancora pieni di sonno; la sua giacca giaceva abbandonata su un bracciolo del divano, così quando si stiracchiò, allungandosi come un gatto, l'attenzione di Stede fu completamente assorbita dalla pelle abbronzata delle sue braccia, dal movimento grazioso delle spalle - e dal sollevarsi della maglia che rivelò per un momento l'ombelico.
La distrazione di Stede doveva essere stata particolarmente evidente, perché quando finalmente alzò gli occhi per incontrare quelli di Ed, vi trovò una traccia di riso.
Stede tornò precipitosamente a dedicarsi allo scrittoio, schiarendosi la voce. "E quindi, Pete." disse pareggiando aggressivamente una risma di carta; "che cosa volevi scrivere?"
"Ah, non è importante, Capitano, sarà per un'altra volta." rispose Pete in tono supplichevole, ma Stede già agitava una mano riprendendo la penna d'oca. "Nessun disturbo!"
"Erm..."
"Meglio approfittarne, dato che siete già ai posti di combattimento," intervenne Ed avvicinandosi al tavolo. Ciò mise definitivamente fine alle proteste di Pete. "...è solo una frase, ecco." disse debolmente.
"E la frase sarebbe..?" domandò Stede intingendo la penna nel calamaio.
La risposta si fece attendere; quando sia Edward che Stede alzarono lo sguardo su di lui, Pete deglutì come se gli avessero appena ordinato di camminare sulla tavola. "Vorrei una delle frasi che avete letto l'altra sera," disse, finalmente. "In quella storia dove alla fine muoiono tutti." sottolineò.
Stede offrì un sorriso di scuse. "Mi rendo conto che ne abbiamo lette almeno due o tre con lo stesso esito."
"Quella con il tizio che parla con il teschio."
"Oh! Certo." si illuminò Stede, "Ti ricordi più o meno com'era..?"
Black Pete strinse le labbra, guardò prima Stede, poi Ed, e poi si avvicinò per bisbigliare all'orecchio del capitano.
Stede si trovò a sorridere suo malgrado."...oh, quindi non è un biglietto qualsiasi," mormorò, sfogliando la sua copia di Amleto fino al secondo atto. "Non chiederò a chi è diretto," assicurò; anche se, nel momento stesso in cui parlava, si rese conto che ben poche altre persone a bordo avrebbero saputo leggerlo.
Rivolse al foglio un sorriso ancora più ampio e trascrisse la frase a grandi lettere nitide.
Mentre l'inchiostro asciugava, Ed si sporse per guardare, chinandosi sopra la spalla di Stede. I suoi capelli sciolti sfioravano la pagina.
"Leggila," chiese, a voce bassa. Stede si voltò a guardarlo; era così vicino da potergli contare le ciglia. Fortunatamente per il povero cuore di Stede, i suoi occhi scuri erano abbassati sul foglio; catturavano in caldi riflessi il sole che entrava dalla finestra. Stede fece del suo meglio per recitare:
"Dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova. Dubita che la verità sia bugiarda, ma non dubitare mai del mio amore."
La voce lo tradì con un tremito proprio sulle ultime parole; non osava spostare lo sguardo dal luccichio dell'inchiostro fresco.
Si ricordò dell'esistenza di Pete quando tirò rumorosamente su col naso, anche lui con gli occhi lucidi fissi sul foglio.
"Be', Pete, amico, hai scelto l'artiglieria pesante." borbottò Ed ritirandosi dalla spalla di Stede, che avvertì immediatamente una stretta di ansia.
"E' - sdolcinato, vero?" fece Pete, mortificato. "Era una cattiva idea, lo sapevo, non è nient-"
"Non è sdolcinato, è Shakespeare!" protestò Stede, pur sentendo avanzare in fondo alla mente l'eco familiare, ragazzino ricco, viziato, viola mammola-
"Credi a me, Pete, se qualcuno si presentasse a dirmi in faccia una cosa del genere-" intervenne Ed piantando una mano sulla spalla del marinaio, e sia Stede che Pete trattennero il fiato, aspettando la frecciata letale. "- cadrei subito in ginocchio a fargli la mia proposta, se capisci cosa intendo." concluse Ed con una strizzatina d'occhi.
Stede e Pete si scambiarono per un istante uno sguardo incredulo, prima di esplodere in una tremula risata di sollievo.Lo spettro gelido dell'umiliazione, che stava già stringendo le dita sul cuore di Stede, allentò la presa.
"E' solo che - pensavo di provare a ricopiarla," sospirò Pete, "Ma forse è un po' troppo difficile."
"Sono sicuro che qualsiasi cosa fatta da te sarà apprezzata." disse Stede in tono incoraggiante.
"Be', ho una buona mano con l'intaglio," borbottò fra sè il marinaio, e poi esclamò, "Sapete cosa, provo a fare così. Con le mie mani. Lasciamo stare il tizio con il teschio." E poi, lanciando a Stede una rapida occhiata, aggiunse sottovoce "...forse sarà più utile a voi che a me," e filò via prima che il capitano, improvvisamente purpureo, trovasse qualcosa di sensato da replicare.
"Insomma, un favoloso sonnellino interrotto per niente," osservò Ed incrociando le braccia, mentre si appoggiava allo scrittoio.
"...Be', suppongo che sia un bell'esercizio di calligrafia," rispose Stede con una piccola risata, e cercando di non fermarsi a guardare la forma della schiena di Ed, leggermente curva, difesa appena da quel tessuto di cotone impossibilmente fine.
Stava piegando il foglio per metterlo via quando senza preavviso, sotto i suoi occhi apparve la mano bruna di Ed, palmo in su.
"Allora lo prendo io," disse, guardando in alto. "Non c'è dubbio che potrebbe servirmi migliorare la mia, di calligrafia." borbottò a mò di spiegazione
"Oh," e perché Stede stava arrossendo, adesso? "Possiamo fare qualche esercizio, se vuoi," offrì, "Scegliamo insieme cosa vuoi ricopiare?"
"Ti va di leggere per me?" chiese Edward, inclinando il capo per posare su Stede uno sguardo quasi timido; e davvero, se non si fosse trovato già a sedere, Stede sarebbe caduto in ginocchio, subito, ai suoi piedi.
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#ofmd ficlet in italiano#niente#adesso in qualche modo devo chiudere il cerchio XD#sob#i love them your honor
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Gelosia
Era nell'aria da tempo.
Da quando stiamo insieme, circa sei mesi, qualche volta nei nostri giochi e nelle nostre fantasie sono entrate altre coppie, o uomini o
donne non ben identificati, storie fatte un po' per ridere e un po' per eccitarci e, la visita ad un club privé, è stata sempre messa in preventivo.
Cosi questa mattina gliel'ho detto candidamente:
"Elena stasera andiamo al privé?"
Lei, divertita e un po' ironica come al solito, mi risponde: "Mi farai scopare da dieci maschiacci?"
"Perché no? Se ti piace l'idea..."
"Idiota"
Ridiamo insieme e, mentre mi abbraccia, con una mano arriva a toccare il mio sesso, a voler capire se fosse una scusa per far l'amore, un
pretesto.
Ci è sempre piaciuto fantasticare su una donna che la stuzzichi, ed a me piacerebbe da morire vederle e magari, mentre "giocano", io farei sesso con Elena.
Una fantasia ben radicata nella mia mente. Il discorso cade lì, ma mi ripropongo di riprenderlo nel pomeriggio. Sono le sette di sera quando e ci stiamo preparando per uscire a cena. È il momento giusto e le ripeto la domanda. Questa volta capisce che sono serio, e che stamattina non stavo scherzando.
E' perplessa ma, appena avute tutte le raccomandazioni del caso, accetta.
Cambio di programma allora. Cena veloce a casa con un silenzio molto rumoroso, ma anche eccitazione per una trasgressione mai fatta prima.
Arrivano le dieci e mi chiede come vestirsi.
"Devi essere la più figa di tutte, come sempre"
Sorride, le piace essere al centro delle mie attenzioni.
"Che ne dici del completo in latex? Quello cortissimo? E sopra, l'impermeabile nero, quello che usiamo per andare in giro quando sotto sei completamente nuda! Che ne pensi?"
"Si. Si può fare"
La osservo mentre si veste.
Scelta perizoma.
Apre il primo cassetto del mobile della camera da letto. Decine e decine di perizoma che spuntano.
Il forziere del mio tesoro. E lei è il mio gioiello più prezioso. Comincia a scegliere e a provare.
"Non metterlo. Ti voglio stramaledettamente porca, per la gioia dei miei occhi"
Mi guarda fisso negli occhi, e un misto di amore esensualità mi colpiscono.
Si avvicina e mi stampa un bacio sulle labbra sussurrando:
"Allora sarò porca come piace a te."
Si siede sul letto.
Scelta autoreggenti.
Calze a rete leggere, con
grosso elastico decorato che rimarrà in bella vista sotto il
miniabito.
Arrapante.
Apre l'armadio e prende la scatola in basso a sinistra, la scatola dei nostri giochi, la scatola delle nostre perversioni.
L'apre ed ecco apparire il micro abito in latex. L'abbiamo usato solo una volta, appena comprato, circa tre mesi fa.
Via un po' di polvere ed ecco che lo indossa.
Le calza a pennello e le fa delle curve spettacolari: vita stretta, fianchi precisi, rotondi. Scollatura davanti chiusa da lacci che le stringono il seno e lo comprimono.
Eccitantissimo.
La aiuto a chiudere la lampo posteriore e noto con stupore che è veramente
cortissimo.
Non lo ricordavo minimamente.
Praticamente sopra c'è scritto
"Scopami".
Prende l'altra scatola, quella con gli stivali. Comincia ad
indossarli, non senza difficoltà, ma le calzano come fossero una seconda pelle.
Da leccare.
Passa agli accessori: come ornamento per il collo mette una fascettina di raso nera, mentre, come orecchini, usa due piccoli fili argentati.
Di classe.
Si lega i capelli dietro, con una coda lunga e molto sexy. Selvaggia. La copia sensuale di Eva Kant.
Ora è pronta, si alza e, già sapendo la risposta, mi domanda:
"Sono abbastanza figa così?"
"Quasi quasi non usciamo più, ci ho ripensato e ti butto sul lettone!"
Ridiamo.
Indossiamo i nostri soprabiti e usciamo.
Entriamo nell'ascensore e mi avvicino per baciarla, ma si scosta, usando come
pretesto che le si sarebbe tolto il rossetto appena messo. Colore rosso deciso!
Accetto controvoglia e proseguiamo.
Saliamo in auto e ci avviamo.
"Ci vorranno circa trenta minuti per arrivare".
Dopo una decina di minuti si sbottona il soprabito, come se mi volesse invitare a fare qualcosa, mi fissa e sorride. L'invito è troppo goloso e comincio ad accarezzarle le cosce. Divento sempre più ardito e comincio ad avvicinarmi al pube. Il suo miniabito mi permette di "giocare" senza problemi e, per aiutarmi, allarga un po' di più le gambe e scivola un pochino più in basso sul sedile; è più comoda nel sentire il suo piacere.
Ora posso toccarle senza problemi il clitoride e infilarle anche un paio di dita senza problemi.
Il suo sesso liquido la contorce e, per il piacere, si morde il labbro superiore.
"Ma non è che andiamo a finire fuori strada?"
Mi domanda con voce rotta dal godere.
"Speriamo di non andare addosso a nessuno, altrimenti come faremo a spiegargli come sei vestita?"
Ridiamo insieme.
Siamo giunti a destinazione. Imbocco il cancello segnalato dalle fiaccole e percorro il viale selciato fino al parcheggio.
Non ci sono molte auto, ma in compenso sono tutte di grossa cilindrata. La nostra, in confronto, sembra pronta per la demolizione. Parcheggio, scendo dall'auto e da buon cavaliere le vado ad aprire la portiera. Rimane meravigliata e stupita e mi ringrazia in francese: "Mercì beaucoup".
Le rispondo a modo mio: "Enchantè mademoiselle"
Ridiamo di nuovo insieme.
C'è un misto di allegria e complicità tra noi. Le è sempre piaciuto ridere e questo è un motivo per cui stiamo insieme.
La faccio ridere e la faccio sentire bene.
Entriamo e comincio a scrutare l'ambiente. L'ingresso è luminoso e ci avviciniamo alla reception. Ci chiedono di mostrar loro la tessera di soci e, appena
scoperto che siamo "novizi", ci fanno compilare dei moduli e ci danno tutte le notizie e ci istruiscono sui comportamenti.
Dopo mezz'ora di nenia e dopo che si è formata una fila alla cassa, tra cui quattro ragazzi e due coppie che già allegramente si baciano tutti insieme, passiamo al guardaroba.
Appena Elena si toglie l'impermeabile un misto di
gelosia e di piacere si danno battaglia in me. Vedo gli occhi dei ragazzi dietro noi che la stanno spogliando con lo sguardo e stanno abusando della sua bellezza. Ora ho paura che se la portino via, sento il freddo della gelosia e della paura che mi attanaglia. Dentro me penso che, forse, venire qui è stato un errore...
Proseguiamo.
L'ingresso della sala è ampio e scuro, un sordo rumore di musica nell'aria ma, appena un inserviente ci apre la porta della sala discoteca, siamo avvolti e inghiottiti dalle note musicali ad alto volume. Entriamo sorridenti e affascinati dallo sfarzo del posto. Molte persone ballano ed alcune donne che si esibiscono in eccitanti lap-dance.
La fisso negli occhi, la prendo per mano e la porto in mezzo alla sala. E' bellissima e voglio ballare con lei, voglio che la vedano tutti.
E' eccitante vederla ballare con quel vestito, e vedo che anche gli altri la guardano e commentano fra di loro.
Dopo alcuni tentativi di approccio, anche di cattivo gusto, ci andiamo ad accomodare su un divanetto rosso. Ci sediamo e noto che, appesi ai muri, ci sono centinaia di quadri di natura erotica e che, in ogni posto e in ogni dove, è pieno di kleenex.. Sorridiamo, facendo un paio di battute sulla mania della pulizia. Ci si avvicina una coppia all'apparenza nostra coetanea e chiede se possono accomodarsi vicino a noi.
"Naturalmente" è la mia risposta.
Si presentano e noi facciamo altrettanto, e cominciamo a parlare del più e del meno, per rompere il ghiaccio. Lei è una ragazza molto bella: bionda, occhi azzurri, labbra carnose e peccaminose. Il suo vestito è molto scollato e si nota che è senza reggiseno come Elena.
Porta una quarta, è molto abbondante di seno ed Elena sa che una donna cosi mi piace molto. Avrà una trentina d'anni, li porta bene ma non è molto alta, al massimo arriverà al metro e settanta grazie ai dieci
centimetri di tacco che le guarniscono una caviglia sottile; nulla a che vedere con la però.
In piedi Elena è alta come me. i suoi piedi e le sue gambe sono inguainate da stivali col tacco alto undici centimetri.
Da vertigini.
Lui, invece, è un uomo sulla quarantina, rasato a zero come la moda impone, con una giacca e una camicia firmate e con un paio di mocassini di pelle che, nell'insieme, mi fanno pensare che sia un imprenditore o qualcosa del genere.
Faccio un confronto con
me stesso. Io jeans e camicia fuori. Al massimo sembro un impiegato di quarto livello. Mentre chiacchieriamo vedo le occhiate dell'uomo
insinuarsi tra le gambe di Elena; cerco di intromettermi, mi alzo, faccio un po' di confusione per distoglierlo dal suo fare.
Ancora gelosia.
Ancora stupore in me.
Niente, continua a guardarla lì e lei non sembra affatto indispettita, anzi allarga leggermente le gambe affinché Fulvio, mi pare quello il suo nome, possa sbirciare meglio.
Gelosia, ma anche piacere nel constatare che Elena è desiderata da altri. Fulvio e Gloria ci spiegano come funziona il locale, e ci fanno notare che ci sono delle camere preposte a fare
sesso, dove i singoli possono solo guardare attraverso delle grate e possono entrare solo se invitati da una coppia. Gloria si alza dal divanetto, si avvicina a me e mettendomi una mano sulla gamba mi chiede se vogliamo andare a provare una di quelle stanze tutti e quattro insieme.
Le rispondo affermativamente ma che, al momento, non vogliamo fare assolutamente uno scambio di coppia. Mi sale l'idea di fare sesso con Elena, mentre gli altri ci guardano e mentre noi guardiamo altri che scopano. Siamo al centro del mondo. Ci guardano e desiderano, ma solo noi decidiamo il gioco. Sento uno strano potere in me.
Ci alziamo e ci avviamo al piano superiore. La musica dietro di noi si fa più debole. Ora sento solo il mio cuore battere e domando a Elena
cosa ne pensa.
"Ti scoperò come non ho mai fatto!"
Mi fulmina con i suoi occhi verdi.
Diabolica espressione.
Mai vista cosi, sembra eccitata come non mai, forse solo quella volta che ci
siamo messi a fare sesso al terrazzo del Gianicolo con la gente che passava e che non capiva se quello che vedeva fosse realtà o immaginazione. Ora la mia sensazione di potere si trasforma in paura.
Mi volto e vedo una decina di uomini seguirci, alcuni con le mani sopra la patta dei pantaloni, i più sfacciati addirittura dentro. Arriviamo in un corridoio dove ci sono molte stanze. Ognuna ha il suo nome e il suo tema: Kamasutra, Etrusca, Olimpo, Antica Roma, S/M, Medioevo,
Inferno.
Ognuna, sicuramente, ha la sua storia da raccontare.
Ci dirigiamo, o meglio Fulvio ci conduce in quella che per lui è la sua preferita: Kamasutra.
Una porta rossa, grande, contornata da colonne
romane o greche. Non le riesco a distinguere perché l'architettura non è mai stata il mio forte.
Poco più in là le famose grate. Fulvio fa entrare prima le donne e poi fa passare me, entra e chiude la porta.
Appena entrato il blu mi acceca, la luce è soffusa, ma si riflette nei miei occhi attraverso il grande specchio che ho di fronte. Alle altre
due pareti quadri di Manara mi fanno capire il perché del nome della stanza. Ora mi sento un po' in imbarazzo mentre i nostri due "amici"
cominciano a scambiarsi effusioni. Le mani di Gloria cominciano a sbottonare la camicia e slacciare la cravatta di Fulvio. Lui invece comincia a levarsi la giacca. Io guardo Elena, i suoi occhi sono sempre diabolici e mi si avvicina all'orecchio e mi dice:
"Spogliati amore che stanotte ti faccio rinascere!" e, mentre lo fa, mi da un piccolo morso al lobo dell'orecchio destro. La mia mente è confusa ed eccitata; le salterei addosso e me la scoperei, ma penso
anche alla grossa quantità di sperma che quel letto e quel divanetto hanno dovuto subire.
Cazzo sono confuso.
Mi volto di nuovo e ora vedo
anche i sei uomini di prima che si masturbano allegramente bofonchiando
qualcosa.
Mi gira la testa mentre mi si avvicina Elena e mi da un bacio passionale spingendomi la lingua in bocca. Gloria è rimasta in perizoma e sbottona i pantaloni al suo partner mentre lui bacia e morde il suo seno e i suoi capezzoli ambrati. Le sue areole sono scure e grosse come quelle di una ragazza mulatta e il suo capezzolo largo ma non lungo. Ora che ha finito il suo lavoro si inginocchia davanti a Fulvio e gli sfila il cazzo dalle mutande.
Comincia a prenderlo in
bocca mentre mi guarda fisso negli occhi. Elena non si spoglia, d'altronde quel vestito è stato indossato per quel motivo. Mi prende
per mano e mi conduce vicino al divanetto. Si siede e comincia a slacciarmi i jeans. Gloria continua a muoversi sul cazzo del suo compagno, ma i suoi occhi sono fissi su di me, per farmi eccitare, per
farmi forse andare da lei affinché le faccia leccare anche il mio.
Elena imita la sua nuova amica, e mi guarda negli occhi. Vede che il mio sguardo è fisso sull'altra e, mentre continua a masturbarmi, mi chiede se voglio che Gloria la aiuti nel suo lavoro. Mi volto e guardandola fissa nel suo verde, le confermo che non la cambierei con nessuna donna al mondo.
Gloria intanto si stacca da Fulvio e si avvicina a me, come se telepaticamente avesse colto l'invito.
Ora lei è dietro di me, in piedi, e mi passa una mano sul sedere scoperto; passa un dito nel solco e con la punta delle dita arriva a toccare i
miei testicoli: "Posso giocare con voi?" chiede guardando Elena.
Il diavolo che si è impossessato di lei risponde affermativamente. Mi fanno sedere sul divanetto e cominciano a leccarmi in due; vedo le loro lingue toccarsi più volte, e forse non solo per caso. Elena lo riprende in bocca, mentre l'altra si dedica con minuziosità assoluta ai miei testicoli.
Fulvio è nell'angolo che si masturba da solo, e ci osserva divertito.
La mia mente comincia a pensare, troppo per quel momento.
Già immagino che lui chieda di fare la stessa cosa a Elena, e mentre vedo che Gloria
sprofonda tutto il mio cazzo nella sua gola, la vedo alzarsi e dirigersi verso l'altro. Gli altri al di fuori della stanza continuano a masturbarsi, chiedendo di poter partecipare a scopare "queste due gran troie".
Così le chiamano.
Un no si alza flebile dalla mia bocca, ma è troppo basso il mio tono, o forse è stato detto soltanto dalla mia mente. Vedo Elena che si inginocchia davanti a lui e che comincia a toccarlo, comincia a leccargli la cappella e poi tutta l'asta. La mia eccitazione cresce, incredibile.
Non pensavo che vederla spompinare un altro provocasse tanto piacere in me. Gloria continua a lavorare sul mio cazzo, se lo passa sulle areole e sui capezzoli. Mi chiede se voglio scoparla. Non so cosa le ho risposto, so solo che si è alzata e mi si è seduta sopra. Il suo culo ha inghiottito il mio cazzo senza problemi; comincia a cavalcarmi, ma il mio sguardo è solo per Elena,
che continua a spompinare quel bastardo.
So che fra un po' anche lui se
la scoperà, ma non riesco a fermarli. Non riesco e non voglio.
I nostri sguardi si incrociano e vedo che le sue labbra mi sussurrano "Ti amo".
Si alza, appoggia le mani alla testa del divano, alza una gamba e mi fa godere del suo spettacolo. Il bastardo è dietro di lei e comincia a leccarla. Ora Elena mi guarda attraverso lo specchio e
controlla che ancora mi stia inculando la porca. Vedo Fulvio alzarsi e infilarsi un preservativo e affondare il suo cazzo dentro di lei. Geme, e ogni gemito è una spada che mi trafigge lo stomaco.
Mi sento trafitto, ferito, e intanto mi inculo questa tizia che non conosco e che vorrei non aver mai conosciuto. Un paio di minuti e non ce la faccio più, faccio alzare Gloria, che mi guarda sbigottita, vado verso Fulvio che continua a spingere il suo sesso dentro di lei.
"Lascia! Ora abbiamo finito di giocare"
Lei si volta, e ancora il suo
volto diabolico mi guarda e mi sfida.
"Inculami".
Non me lo faccio ripetere e in quella posizione, una volta scansato il "bastardo", la penetro con forza, quasi con rabbia. Sento il piacere
crescere in lei, ad ogni spinta violenta inarca sempre di più la schiena, abbassa il culo per goderne appieno.
La scopo e dallo specchio vedo la coppia che ora tromba allegramente dall'altra parte della stanza, mentre i masturbatori incalliti fuori della stanza sono ancora lì, nel pieno della loro attività, nel pieno delle loro godute e sborrate. Io ora non penso a niente, voglio solo Elena, e scopiamo. Si masturba mentre cede sotto i miei colpi, sento che sta per venire e anch'io sto per farlo. Il suo urlo di piacere si diffonde nella stanza mentre il mio seme le inonda completamente lo sfintere.
Ci rilassiamo per un paio di secondi, sfilo il mio cazzo e un rivolo di sperma le esce dal buchino. Mi inginocchio dietro di lei e la pulisco con la lingua; le lecco anche la fica per assaporare i suoi umori, mentre i suoi occhi sognanti mi ripetono in silenzio l'affermazione fatta poco prima.
"Ti amo anch'io Elena."
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Il primo incontro
Il viaggio in treno non era stato chissà quanto lungo ma sentivo comunque il bisogno di rinfrescarmi. Meno male che avevo preso il primo che partiva al mattino cosi avevo il tempo di registrarmi in hotel e darmi una sistemata prima di incontrare finalmente Sonia. A quel pensiero iniziai a sentire le farfalle nello stomaco, improvvisamente mi iniziò a mancare l'aria nonostante il sorriso da ebete che avevo stampato in faccia. Era la prima volta che ci vedevamo di persona. Abbiamo passato settimane intere a parlare al telefono e in videochiamata, mai abbastanza a lungo, mai abbastanza vicine. Speravo che averla vista al telefono bastasse per scemare almeno di un pochino l'ansia che mi stava salendo per il nostro incontro ma non c'era proprio nulla da fare.
Mi registrai in hotel e andai in bagno a fare una doccia veloce. Senza bagnare i capelli me la cavai in dieci minuti, misi il burro per il corpo allo zucchero filato sulla pelle che odorava di bagnoschiuma alla pesca, spruzzai poi l'acqua per il corpo profumata sulle braccia e sul collo. Sistemato il trucco andai ad aprire il borsone da viaggio a forma di bara che avevo buttato sul letto con noncuranza: era il momento di scegliere cosa mettermi. Indossai un completino in pizzo nero e dei calzini con i panda e mi bloccai di fronte alla scelta del resto. I jeans a campana e le globe nere erano una scelta ovvia ma ero davvero indecisa sul sopra. Era la fine di maggio in fin dei conti e faceva abbastanza caldo durante il giorno, mentre con l'arrivo della sera si alzava il vento e finivo sempre per avere freddo. Avrei potuto portarmi una felpa o una giacca dietro ma non avevo voglia di avere le mani occupate. "Bene, mancano ancora due ore e io sto già andando in panico. Non riesco nemmeno a decidere che maglietta mettermi perché voglio sembrare normale ma anche attraente e non pretenziosa e non voglio avere la pelle d'oca tutto il tempo. Accidenti. Perché mi sono portata cosi tanti cambi per cosi pochi giorni?" iniziai a pensare, seduta sulla moquette per terra. Chiusi gli occhi e respirai profondamente un paio di volte. Crop top e camicia a quadri oversize. Deciso. Sicuramente non potevo sembrare più gay di cosi. Rimisi gli anelli d'argento sulle dita, sistemai il posino in pelle sul polso sinistro e raddrizzai la collana al collo. Decisi di aggiungere le bretelle viola e una catenella ai pantaloni. Dal punto di vista estetico ero pronta cosi svuotai lo zainetto e controllai cosa mettere dentro. Portafoglio, caricatore portatile, occhiali, salviette umide, sigarette e accendino, cuffie e il pacchetto incartato che avevo tolto dal borsone. Riguardo all'ultima cosa sapevo bene che era solo una precauzione. Sapevo che ne avevamo già parlato prima ma non ero sicura di come sarebbe andata la giornata, e volevo avere questa sorpresina dietro in caso fosse andato tutto bene e avessi voluto metterla in imbarazzo prima di passare di nuovo in hotel.
Il telefono segnava mezzogiorno ed era ora di uscire. Per fortuna avevo prenotato un hotel vicino alla stazione cosi potevo muovermi abbastanza liberamente. Misi le cuffie, accesi spotify e uscì sulla strada illuminata dal sole. Iniziai a camminare con calma verso il nostro punto d'incontro, controllando di continuo di non aver iniziato a sudare perché sicuramente non volevo passare per un mostro umidiccio la prima volta che l'avrei abbracciata. L'ansia si stava rifacendo sentire e si alzava ad ogni passo. Nonostante la calma il respiro iniziò di nuovo a darmi qualche problema, mancavano solo cento metri e sarei arrivata nel punto in cui avrei potuto aspettarla su una panchina. Ero in anticipo, di poco ma ero in anticipo. Ero indecisa se tenere le cuffie o meno, non volevo stare seduta a fissare le persone che passavano alla ricerca di quel dolce viso con le fossette, non ho esattamente un'espressione gentile apparentemente.
Passarono solo un paio di minuti ma notai in lontananza qualcosa di familiare. Camminava a passo svelto, allegra, con i capelli mossi dal vento e con indosso la maglietta bianca aderente che le scopriva la pancia che avevo riconosciuto. Un piccolo angelo che si incamminava nella mia direzione. Mi alzai togliendo le cuffie, occhi fissi su di lei che curvò le labbra in un sorriso raggiante non appena si accorse che ero già li ad aspettarla. Sonia accelerò il passo e in pochi secondi fu davanti a me a gettarmi le braccia al collo per abbracciarmi. Niente imbarazzo o esitazione, solo sana allegria ed eccitazione di avermi finalmente li. Rimasi un attimo bloccata per la sua foga ma mi si scaldò il cuore nell'esatto momento in cui mi toccò e la strinsi forte a me affondando la faccia nei suoi capelli e respirando per la prima volta il suo profumo.
<<Sei qui. Sei finalmente qui, ancora non ci posso credere. Sei reale vero?>> chiese Sonia in modo retorico mentre si aggrappava a me. Non volevo più sciogliermi da quell'abbraccio. Era perfetto. La differenza di altezza non si sentiva nemmeno, già adoravo la sensazione delle sue braccia dietro al collo e il calore del suo respiro sulla mia spalla.
<<Sei sulla punta dei piedi piccola>> dissi appena me ne accorsi, con il sorriso sulle labbra. Sentì le sue braccia tornare al loro posto mentre il suo viso rimaneva nascosto ai miei occhi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo finchè non mi presi un secondo. L'avevo chiamata piccola. Non avevamo scambiato ancora nemmeno 20 parole e io l'avevo già chiamata PICCOLA. Alzò gli occhi su di me in silenzio, ancora rossa in viso. Era bellissima. Sorrisi al pensiero e il suo rossore si fece ancora più acceso.
<<Sei davvero TROPPO carina quando sei in imbarazzo. Lo so che non te lo dovrei dire ma non posso non dirlo. Sei bellissima!>> dissi attirandola a me per abbracciarla e iniziando a ridere. Non durò molto. Sonia si liberò dall'abbraccio e mi diede un debole pugnetto sul braccio. Sorrisi e le appoggiai la mano sulla guancia. Non sapevo il perché di quel gesto. Non ci avevo pensato ne lo avevo pianificato, era completamente spontaneo e inaspettato pure per me. L'inaspettato non era finito perché dopo aver mosso la testa incontro alla mia mano, mi ritrovai di nuovo le sue braccia intorno al collo. Era sulla punta delle dita dei piedi, completamente appoggiata a me e intenta a raggiungere le mie labbra. In quel momento il tempo sembrò rallentare e accelerare allo stesso momento. I pensieri non potevano più considerarsi lucidi mentre baciavo quelle labbra morbide e sentivo il suo respiro caldo in bocca. Le cinsi i fianchi con un braccio sentendo il suo respiro bloccarsi per un attimo. Il bacio si fermò e ci guardammo negli occhi, immobili in quella posizione.
<<Quello si che è stata una sorpresa. E' colpa mia o ci stavi già pensando piccola?>> chiesi scandendo bene e intenzionalmente l'ultima parola. Continuavo a sorridere guardandola negli occhi, la mia mano libera trovò il suo mento e vidi una scintilla. Si mosse impercettibilmente verso di me cosi decisi che non potevo più tenere nessuna delle due sulle spine. La baciai io stavolta, mordendo piano il suo labbro inferiore ad un certo punto mentre le infilavo la mano tra i capelli per attirarla il più vicino possibile. Da parte di entrambe questo bacio non aveva nulla a che fare con il precedente. Non aveva nulla di cauto. Sentivo le mani di Sonia stringermi i capelli, il mondo al di fuori di questo istante aveva cessato di esistere. C'eravamo solo noi, le nostre labbra e le nostre lingue che si sfioravano in una danza perfettamente armoniosa, il suo respiro che accelerava sulla mia pelle. Sistemai entrambe le mie mani sui suoi fianchi caldi mentre il cervello cercava di comunicarmi qualcosa di razionale ma non riuscivo proprio a collegare. Dopo tutto il tempo a parlare la desideravo da morire e quel bacio dimostrava un desiderio analogo anche da parte di Sonia. Volevo infilare le mani sotto i lembi della sua maglietta, stringerle il sedere mentre aumentavo un pochino la foga del bacio. "Siamo in pubblico e ci stiamo letteralmente salutando. In teoria almeno" il pensiero finalmente divenne udibile. Allentai la presa sui suoi fianchi e rallentai il bacio fino a fermarlo, una mano ancora sul suo fianco mentre l'altra tracciava il contorno del suo viso per finire con il pollice pericolosamente vicino alle sue labbra ancora umide e leggermente dischiuse. Mi bloccai con gli occhi ancora fissi sulle sue labbra, volevo cosi tanto sentirne ancora il calore. Non era stato abbastanza.
<<Dovremmo almeno spostarci da qualche parte.. Anche se credo che adesso finiremo per fare quello era nei piani>> la mia voce era improvvisamente roca. Mi schiarì la gola mentre Sonia annuiva in silenzio. Ci incamminammo sul marciapiede, la sua mano stretta alla mia non appena gliel'avevo offerta.
Spizzicammo qualcosa per pranzo alle bancarelle sparse per il centro, chiacchierando e ridendo con il tempo che passava senza che ne fossimo realmente coscienti. A pomeriggio inoltrato avevamo vagato fino ad un giardino botanico e l'idea di visitarlo fece arrossire entrambe. Si era parlato tanto di situazioni in quel luogo ed entrambe le avevamo ben fisse in mente. La tensione tra di noi era ormai tangibile, non era imbarazzo ma la consapevolezza che avremmo voluto trovarci in una stanza privata in quel momento. Era forse quello il momento di svelare la sorpresa che avevo dietro? Era un regalo comunque quindi in caso non lo avrebbe aperto in questo momento. O mi avrebbe mandata a fanculo. Tanto valeva rischiare, era la mia piccola no?
<<Senti... Ho una cosa dietro, una specie di regalo per te ma non esattamente solo per te. E' una cosa di cui avevamo parlato e ti avevo detto che te l'avrei rivelata quando me la sentivo. Non l'ho fatto ma lo faccio ora perché ce l'ho dietro.>> farfugliai in modo confuso non guardando Sonia in faccia.
<<Dai fammi vedere, non può mica essere niente di male se me lo avevi accennato no?>> disse lei incoraggiandomi con un sorriso e tendendo la mano. Le posai la piccola scatola rettangolare in mano e lei rise alla vista della carta regalo color arcobaleno. Iniziò a scartare con cura e si bloccò aprendo un lembo della carta.
<<Sei seria? Lo hai preso davvero? Da quanto ci stai pensando? Anzi da quanto ce l'hai??>> era in panico. Le sue mani stringevano convulsamente al petto la scatolina del vibratore a distanza mentre guardava le sue gambe con la faccia tutta rossa.
<<Ci penso da sempre, si l'ho preso davvero e ce l'ho da quando ho potuto permettermelo. Aspettavo il momento per parlarne ma il viaggio è sembrato un'idea migliore. Questo almeno possiamo usarlo anche quando tornerò a casa mia dato che funziona a lunga distanza, se e quando vorrai. Lo metto nel mio zaino adesso cosi sta al sicuro, volevo solo fartelo vedere. Me lo passi?>> La sola idea per adesso bastava. Ero davvero in estasi per la reazione di Sonia e non vedevo l'ora di sentirle dire che lo aveva messo e che potevo quindi fare quello che volevo.
Sonia si mosse sulla panchina per passarmi il pacchetto. Me la ritrovai a cavalcioni sopra le mie gambe che mi porgeva quello che avevo chiesto. Soffocando un gemito in gola misi via la scatola e lo zaino. Sfiorai leggermente con i polpastrelli la pelle scoperta della sua pancia, facendole venire un brivido improvviso. Tracciai una riga verticale con l'unghia nello spazio che mi era concesso, sfiorai la linea del suo fianco scendendo fino all'orlo dei pantaloni. Sonia aveva gli occhi socchiusi, era come in trance, le piaceva quello che stava succedendo e non faceva nulla per fermarmi. Con l'altra mano le scostai i capelli dal collo e avvicinai il viso all'incavo tra la palla e il collo. Respirai piano sulla sua pelle dolce e iniziai a baciarle il collo, dapprima piano poi con sempre più passione muovendomi su e giù e lasciando piccoli succhiotti qua e la in risposta alle sue mani che mi stringevano i capelli e al suo ansimare piano. Avvicinò il viso al mio orecchio e con voce ancora ansimante disse <<Possiamo andare da te? Ti prego.>> e dopo una piccola pausa aggiunse <<Ti prego papi.>>.
Il mio cervello si spense per un attimo. Le mie labbra cercarono il punto tra la mascella e l'orecchio, iniziai a succhiare e a mordere piano mentre le mie mani attiravano i suoi fianchi ancora più vicini ai miei, facendola sfregare sulle mie gambe. Soddisfatta del lavoro che avevo fatto potei finalmente rispondere alla sua richiesta. Con il fiato corto e la voce completamente rauca dissi <<Certo. Andiamo principessa.>>. La feci alzare con delicatezza dalle mie gambe e le diedi un bacio sulla punta del naso con un mega sorriso sulle labbra.
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